Lo ho conosciuto soltanto attraverso ritratti ed antiche fotografie databili fra la fine dell’800 ed i primi anni del ‘900, ma in famiglia è sempre stato “Zio Rodolfo”. Il fascino di questo zio mai conosciuto ma comunque familiare è sempre stato forte nella famiglia, e lo è ancora oggi dopo quattro generazioni.
Mia nonna raccontava di averlo visto l’ultima volta quando lei aveva ancora sette anni, in una mattina del 1919. Lui entrò nella sua stanza di giochi e la salutò con una promessa: “Quando tornerò da Roma ti porterò una bambola.” Non sarebbero mai arrivati né lui né il regalo.
Zio Rodolfo, cugino della mia bisnonna, discendeva da un’antica famiglia nobile ed era il terzogenito, nato nel 1886. Laureatosi in medicina, aveva una spiccata propensione per la ricerca medica ed i suoi appunti in materia erano redatti in varie lingue, da lui correttamente parlate, quali inglese, francese, portoghese, spagnolo, tedesco e russo. Fra le altre cose era anche iscritto alla Massoneria.
Entrato nel Corpo Militare della Croce Rossa come ufficiale medico nel 1907, partecipò attivamente all’emergenza colera in Campania nel 1911 quale tenente medico nel reparto infettivi. Successivamente fu impegnato nelle operazioni relative alla “Grande Guerra”, sempre fra il personale sanitario del Corpo Militare della Croce Rossa, prestando servizio prevalentemente ad Alessandria fino al giugno del 1917, quando fu dichiarato permanentemente inabile al servizio militare per una “bronco alveolite specifica.” Così rientrò nella natia Lecce.
Ma Zio Rodolfo non era solo un uomo intelligente e colto, era anche bello. Dal suo stato di servizio si legge che era alto 1,72 m, i suoi capelli erano neri e lisci, mentre i suoi occhi castani. Lo charme, tuttora visibile nei suoi ritratti, doveva essere fortissimo e non è difficile immaginare il cospicuo numero di donzelle invaghitesi di lui. Eppure le sue attenzioni non erano rivolte alle rampolle della nobiltà, no, Zio Rodolfo si invaghì, ricambiato, di una fanciulla appartenente ad un ceto, diciamo, inferiore per l’epoca, intavolando una fitta corrispondenza, unica testimonianza rimasta di un amore impossibile. Ovviamente, la cosa suscitò le ire della madre che con tutti i mezzi possibili osteggiò la relazione. Non riuscendo ad convolare a giuste nozze con la donna dei suoi sogni, in una alta forma di suicidio premeditato, nel 1919 Zio Rodolfo decise di farsi mandare a Roma, assegnato al reparto infettivi di non so quale ospedale, mentre in tutta Europa imperversava la terribile epidemia di “Spagnola”. Fu in occasione della sua partenza che nel salutare la nipotina, che poi sarebbe diventata mia nonna, formulò quella promessa di un dono mai mantenuta perché, stando a stretto contatto con i malati, anche lui contrasse il morbo e morì dopo pochi mesi nella capitale.
Storie di famiglia, storie di altri tempi, quando per amore si era disposti a tutto ….. Di te mi resta il ricordo della memoria e le tue foto, Zio e collega ufficiale dello stesso Corpo ma, anche se non ti ho mai conosciuto, ti ho sempre ammirato per il tuo stile innato e per il tuo portamento ….. Zio Rodolfo ti ho sempre voluto bene …………….
Cosimo Enrico Marseglia