Sul finire dell’Ottocento si ebbe in Italia una profonda trasformazione che investì la vita politica, la letteratura e le arti figurative. Terminato il processo risorgimentale, di fronte ai seri problemi che la realizzata unità territoriale poneva al paese, la classe dirigente si esiliò nella gelosa difesa
di un’organizzazione statale che si rivelava particolarmente carente di caratteristiche democratiche. Con l’avvento della Sinistra al potere, nel 1876, le cose cambiarono parzialmente: l’esiguità della base elettorale, la pratica del trasformismo parlamentare, la strutturale impossibilità di ricambio, per cui il potere era sempre gestito, al di là delle etichette, dalla classe borghese, causarono l’appiattimento della vita parlamentare ed il depauperamento delle idealità democratiche.
Con la delusione per il fallimento risorgimentale, si fecero strada, soprattutto nei giovani intellettuali, il disprezzo degli ideali democratici e per la prassi parlamentare, il vagheggiamento dello stato forte, le suggestioni imperialistiche alimentate dai romanzi letterari del passato. Caratteristiche, queste, che condussero nei primi decenni del Novecento a desideri di avventure coloniali, di sicurezze sociali garantite da una politica rilevante, ispirata a quella forma di stato forte che aveva nel ferreo cancelliere Ottone di Bismarck il suo maggiore esponente.
Le componenti della società italiana fin qui illustrate non furono però le uniche, in quanto nel paese agirono ben altre forze ed orientamenti: le forze popolari, i filoni democratici che la diplomatizzazione del processo risorgimentale operata dall’affarista e “Padre della Patria” Camillo Benso conte di Cavour avevano sconfitto. L’assetto fornito allo stato dalla classe dirigente deluse le aspirazioni dei democratici e pesò con la tassazione e la burocratizzazione sulle masse contadine, mentre per quanto concerne lo sviluppo industriale si ebbe come relativa conseguenza il formarsi di masse operaie con gli annessi problemi.
Anche queste forze contestarono lo stato liberale borghese e la prassi parlamentare, ma anziché la soluzione dello stato forte e della politica di prestigio imperialistico prospettarono, sulla scorta della ideologia marxista, ben differenti soluzioni.
L’ultimo ventennio del secolo vide un prolungato travaglio di queste forze: moti contadini ed agitazioni operaie, tentativi rivoluzionari sollecitati dalla predicazione anarchica ed esperimenti di organizzazione che dettero vita, nel 1892, alla formazione del partito socialista.
A tutto ciò la classe dirigente non seppe reagire adeguatamente chiudendosi in una estrema forma di difesa dell’acquisito che finì irreparabilmente per alimentare e giustificare ogni forma repressiva pure violenta. Ed è proprio in questo contesto incerto che la figura di Benito Mussolini, socialista prima e fascista poi, riuscì a proporsi come il solo uomo in grado di ristabilire l’ordine e la “pace” sociale ormai persi.