“Pur non assegnando all’ingiunzione di sgombero consegnata ad alcune famiglie Rom del campo Panareo una preordinazione politica non si può banalmente pensare che si tratti un mero inconveniente da risolvere burocraticamente.”
Lo dichiara Carlo Salvemini.
“Di fatto quel pezzo di carta, che tra le altre cose addossa alle famiglie i costi di demolizione e smaltimento, cancella in un attimo quel percorso che da anni, e tra mille difficoltà, le associazioni che quotidianamente sono in trincea per dare sostanza al concetto di cittadinanza inclusiva hanno avviato con risultati importanti.
Se le case sono non solo fatiscenti ma anche pericolose, come risulta dai rilievi del nucleo ispettivo, significa che fino ad oggi è mancato il tassello preliminare: quello della messa in sicurezza di un contesto abitativo che già nel nome cozza con una dimensione di inserimento stabile e dignitoso.
E questo passaggio non può che ricondurre alla responsabilità del Comune di Lecce che, più in generale, quanto a edilizia per le categorie deboli non si segnala certo per intraprendenza e lungimiranza e che nella organizzazione e gestione di quel settore delicato e decisivo dei settori sociali continua a manifestare tutta la sua inadeguatezza, più volte evidenziata.
Nelle more di una situazione precaria per definizione, la prima cosa da fare è scongiurare l’esecutività dell’ingiunzione, per una ragione molto semplice: invece di lasciare per strada i cittadini di etnia Rom – rivelando comunque una scandalosa assenza di collegamento tra enti dell’amministrazione – è necessario approntare una soluzione alternativa migliore di quella attuale e renderla da subito fruibile. Possibilmente all’interno di un tessuto urbano – Lecce come città dei diritti – nel quale non ci siano riserve “indiane” per lavarsi la coscienza. Non c’è burocrazia che tenga davanti alla dignità delle persone.”
Dichiarazione di Paola Povero sulla vicenda
L’istanza di sgombero notificata a venti famiglie della comunità ROM è l’ennesimo fallimento dell’Istituzione dei Servizi Sociali, la “pistola fumante” dell’inutilità di quello che si rivela, ancora una volta, un costosissimo carrozzone politico. Per il miglioramento delle condizioni di vita di quella comunità che da 25 anni si è stabilita qua da noi, scappando dagli orrori delle guerre nella ex-Jugoslavia, si era attivata nel corso degli anni una concreta sinergia tra istituzioni ed associazioni di volontariato, che aveva cominciato a dare i primi frutti nel 2007. Con il provvedimento di ieri è stato vanificato tutto ciò, a causa dell’incapacità dell’Istituzione dei Servizi Sociali, che quella sinergia di differenti soggetti avrebbe dovuto coordinare e che avrebbe dovuto rappresentare la principale interfaccia con il campo, con il prioritario compito di accertarsi dei problemi ed individuarne le soluzioni. Ruolo che ha omesso di svolgere.
A farne le spese però saranno quelle venti famiglie, che entro un mese dovranno non solo liberare quelle “campine” ma addirittura provvedere ad abbatterle, per giunta a proprie spese, senza che gli sia stata offerta alcuna sistemazione alternativa.
Una comunità civile, come quella leccese e salentina, che fa da sempre della propria propensione all’accoglienza un motivo di vanto, non può consentire che questo accada. Per quanto riguarda, invece, l’Istituzione dei Servizi Sociali, l’unica via da seguire è quella che da sempre auspichiamo, la sua chiusura per manifesta inutilità.