In tempi in cui gli episodi di cronaca nera sono all’ordine del giorno ed il problema “sicurezza” è particolarmente sentito, le aziende sia pubbliche che private investono sempre più frequentemente nell’installazione di apparecchiature di videosorveglianza, strumento efficacissimo per contrastare e prevenire la criminalità e per proteggere beni e persone.
In materia di videosorveglianza le normative principali da rispettare sono due.
La prima è quella posta a tutela della privacy.
I sistemi di videosorveglianza, in effetti, possono determinare forme di condizionamento nei movimenti e comportamenti delle persone e “trattano” indubbiamente dati personali: sono tali infatti la voce e l’immagine.
Varie sono le regole imposte dalla legge sulla privacy, che valgono tanto per i privati che per i soggetti pubblici (a es. Comuni). Anzitutto, vi sono i principi di necessità e proporzionalità: va cioè evitato ogni uso superfluo o eccessivo della videosorveglianza, magari solo per meri fini di apparenza o di prestigio, anche tenendo presente che il codice penale prevede come reati le interferenze illecite nella vita privata e le intercettazioni di comunicazioni e conversazioni.
Tali principi si ripercuotono sul posizionamento delle videocamere. Così, se lo scopo è quello di controllare l’accesso di persone e mezzi di trasporto, la telecamera non deve riprendere l’esterno (una strada o un marciapiede), ma solo gli spazi di proprietà dell’azienda. Ovviamente, poi, esse non possono essere installate all’interno di spogliatoi e bagni o di luoghi riservati al momento ludico del dipendente (la sala mensa, per esempio).
Una seconda regola riguarda la memorizzazione delle immagini: le aziende infatti hanno l’obbligo di cancellare le immagini, sovrascrivendole con delle nuove riprese, entro le ventiquattr’ore successive alla registrazione. Solo in alcuni specifici casi è ammesso un tempo più ampio di conservazione dei dati, che non può comunque superare la settimana (ad es., per alcuni luoghi come le banche può risultare giustificata l’esigenza di identificare gli autori di un sopralluogo nei giorni precedenti una rapina). Per gli enti pubblici, con il decreto antistupro, la conservazione è stata portata a un massimo di sette giorni, per dare la possibilità di esaminare le immagini in caso di eventi criminosi, quali le aggressioni.
Un’altra regola riguarda la cartellonistica, che deve essere posta in prossimità di ogni videocamera segnalandone la presenza e indicando il soggetto nel cui interesse si sta facendo la registrazione, chi effettua il trattamento dei dati e le finalità della stessa.
In caso di violazione della normativa obbligatoria in materia di privacy, si incorre in sanzioni amministrative (fino a 120 mila euro) e, se c’è dolo, ossia la volontà di violare la legge, anche in sanzioni penali (fino a due anni di reclusione).
La seconda normativa da rispettare è lo Statuto dei Lavoratori, il quale prevede la possibilità di installare telecamere nell’ambiente di lavoro solo “per comprovate esigenze organizzative e produttive o per motivi di sicurezza” e con il previo accordo della rappresentanza sindacale aziendale o l’autorizzazione della Direzione Provinciale del Lavoro. Tutti questi vincoli all’uso di telecamere in azienda mirano ad evitare che esso si traduca in una forma di controllo a distanza dell’attività lavorativa, il che è vietato a fondamentale presidio della libertà e dignità del lavoratore (per le stesse ragioni, insomma, per cui è vietato al datore di servirsi di guardie giurate nel verificare l’esatto adempimento della prestazione di lavoro).
A tal proposito, di recente il Garante per la protezione dei dati personali ha ribadito che l’uso delle telecamere sui luoghi di lavoro deve rispettare in maniera rigorosa gli obblighi previsti dallo Statuto dei lavoratori, richiamati anche dal Codice della privacy, ed ha precisato che il divieto di installare telecamere che possano controllare i lavoratori vale pure per le aree che siano frequentate anche solo saltuariamente dal personale. Nel caso di specie il Garante, sulla base delle risultanze degli accertamenti ispettivi svolti in un supermercato dal “nucleo speciale funzione pubblica e privacy” della Guardia di Finanza, ha disposto il blocco del trattamento dei dati personali raccolti mediante alcune videocamere poste in aree suscettibili di transito da parte dei lavoratori (es. quelle di carico e scarico merci, box informazioni e zona circostante). In sostanza la videosorveglianza non potrà più essere effettuata in quel supermercato neppure nelle aree occasionalmente frequentate dai dipendenti, salvo che non venga preventivamente stipulato un accordo con le rappresentanze sindacali o richiesta l’autorizzazione alla Direzione Provinciale del Lavoro, in ossequio a quanto previsto dallo Statuto dei Lavoratori.
La normativa in materia di videosorveglianza, in definitiva, cerca di bilanciare tra due opposte esigenze entrambe egualmente meritevoli di protezione: l’esigenza di sicurezza da una parte, e quella di tutela della privacy e del lavoro dall’altra.
Come accade sempre ogni qualvolta la legge già a monte non fissa confini netti e regole certe, in questa materia è molto alta la probabilità di ritrovarsi ad essere sanzionati senza avere avuto alcuna intenzione di infrangere le prescrizioni normative.
avv. ANTONIO CHIRICO – Lecce, via Birago n. 53
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