Sbirciare fra i documenti di famiglia riserva sempre delle grandi sorprese. Spesso, infatti, ci si imbatte in personaggi eccentrici, oppure in guerrieri o eroi, talvolta in cosiddette “pecore nere,” tuttavia non è difficile incontrare anche persone che hanno tenuto alto l’onore
e la dignità, distinguendosi per la loro nobiltà d’animo, al punto da preferire la morte piuttosto che infangare il nome di qualcun altro. Oggi parlerò di uno di questi “Signori,” un Signore sia nel titolo sia di fatto, la cui cavalleresca cortesia e nobiltà, risultano del tutto desuete ai nostri tempi, epoca in cui il “savoir faire,” come si dice oltralpe, e le buone maniere sono diventate un optional decisamente raro e, purtroppo, addirittura visto con scherno dalla moltitudine di “parvenu,” mi si perdoni il secondo francesismo in solo due righe, che calcano il pavimento stradale delle odierne città.
Siamo nel XVI secolo a Venezia, capitale dell’omonima repubblica, la cui potenza si fonda sul commercio. Lui si chiama Antonio ed appartiene ad una delle più antiche famiglie del Patriziato e ricopre incarichi politici di rilievo in seno ai vertici della “Serenissima”. La vita di un patrizio, all’epoca, non era comunque priva di una certa dose di mondanità, tutt’altro, esistevano anche allora ricevimenti, feste, concerti, anzi, fra le attività politiche e diplomatiche erano inclusi anche questi. Probabilmente, proprio durante uno di questi eventi, Antonio conobbe l’ambasciatore di Spagna a Venezia e la sua gentile consorte. Come spesso accade, dietro gli angoli delle stanze, o fra i cespugli di un giardino, si cela sempre un cecchino di Venere pronto a scagliare i suoi dardi fatali e, talvolta, letali, e, guarda caso, per quella volta l’obiettivo strategico della sua mira furono proprio Antonio e l’ambasciatrice. La passione fu così forte che, da quel momento, lui cominciò ad intrattenersi sempre di più con l’amante, trascurando l’attività politica. Ai tempi nostri le scappatelle dei politici creano divertimento, pettegolezzo, perché no anche ammirazione o invidia, ma anche materiale utile per impostare una campagna elettorale. A quei tempi, invece, creavano per lo più l’ultimo effetto. Infatti, quando i nemici politici di Antonio si accorsero della relazione, preferirono non divulgarla adducendo, invece, che le sue continue assenze erano imputabili ad incontri segreti con spie nemiche, alle quali vendeva informazioni segrete. Non dimentichiamo che il ‘500 è anche il secolo in cui si afferma la “Ragion di Stato,” quello che oggi noi conosciamo come “Segreto Politico-Militare,” che determina la nascita delle prime organizzazioni spionistiche o di intelligence, per utilizzare un termine più attuale. Antonio fu così accusato di alto tradimento. L’unica sua salvezza sarebbe stata quella di svelare i reali motivi delle sue assenze tuttavia, per non infangare il nome dell’amata, preferì farsi arrestare, condannare e condurre nelle carceri della repubblica, dove sarebbe morto. La verità venne a galla solo dopo la sua dipartita, consentendo così ai suoi discendenti di lavare una pesante onta che, altrimenti, sarebbe pesata come un macigno sulla famiglia.
Almeno in questo, sia ringraziato il cielo! Non me la sentirei proprio di continuare a vivere ancora, gravato anche da una innata condanna per alto tradimento nei confronti della Serenissima Repubblica di Venezia …
Cosimo Enrico Marseglia