“allo specchio”: guardarsi allo specchio non per compiacerci come Narciso, ma per conoscerci osservandoci; per ipotizzare motivi alla base dei comportamenti e delle modalità con cui ci poniamo in relazione con gli altri, con noi stessi, con gli oggetti; per comprendere il senso di alcuni modi di dire, di gesti e mimiche che esprimiamo, di posture che assumiamo.
Le fette della torta
Carlo e Antonio sono al bar attratti da una torta tagliata a fette e scoprono di avere gli stessi gusti: quella torta è la loro preferita, ne vanno ghiotti. Le fette sono due, una vistosamente più grossa dell’altra. Carlo si serve per primo e prende la fetta più grossa con grande disinvoltura. Antonio disturbato dalla prepotenza non vuole subirla e affida a una frase, gentile e ragionevole, il compito di colpire.
– Perché hai preso la porzione più grossa?- dice Antonio, e si aspetta che Carlo si scusi e si affretti a offrirgliela.
– Se tu avessi scelto per primo, quale porzione avresti preso?- lo interroga Carlo fingendo ingenuità.
Antonio cade nella trappola e pensa di dovergli dare una lezione di buone maniere, in realtà non ha capito che i valori di Carlo si oppongono ai suoi e non prevede le conseguenze di ciò che sta per dire. Risponde.
– Avrei preso la più piccola!-
– Eccola infatti, è lì per te – replica Carlo riprendendo a masticare. Antonio rimane interdetto.
Cosa è accaduto dietro le quinte di questa interazione?
Antonio è un passivo che si ribella e peggiora la sua situazione. È in grado di riconoscere i comportamenti aggressivi, però è ingenuo, crede di modificare il comportamento del prepotente con una frase; non si rende conto che i modelli di comportamento di Carlo sono diversi dai suoi.
Carlo è un aggressivo, non un estemporaneo, come quelli che “ci provano”, lui ha previsto la reazione di Antonio e preparato la contromossa. Furbo, la sua aggressività non si esplica solo con l’appropriazione della fetta più grossa, anche con il mettere Antonio con le spalle al muro per renderlo incapace di agire e costringerlo a subire.
Cosa avrebbe fatto al posto di Antonio una persona assertiva, cioè una persona in grado di valutare rapidamente la situazione e di rispondere in modo appropriato per far valere i suoi diritti? Avrebbe considerato: LA NATURA DEI LORO RAPPORTI, il comportamento di Carlo, le aspettative nei confronti di questo falso amico, le conseguenze delle possibili risposte al comportamento di Carlo.
– Antonio, CHE È IL PADRE DI CARLO, sorride e con fare benevolo scuote la testa – (risposta passiva per amore: rischio di educare il figlio alla prepotenza);
– Antonio, CHE È IL NUOVO SEGRETARIO DI CARLO, rimane colpito dal comportamento del suo capo, decide di subire ma di mantenere le distanze ed evitare soprattutto di tornare al bar con lui -( risposta passiva consapevole: non conviene essere assertivi );
– Antonio, CHE CONOSCE CARLO DA POCO, decide di far finta di niente e di non frequentare più Carlo – ( risposta passiva consapevole: non vale la pena essere assertivi );
– Antonio, CHE CONOSCE CARLO DA POCO, blocca la mano di Carlo che ha agguantato la fetta più grossa, taglia la parte eccedente, la divide a metà e dice “forse così è più giusto, non credi?” – (risposta assertiva);
– Antonio, CHE CONOSCE CARLO DA POCO, blocca con la destra la mano di Carlo che ha agguantato la fetta più grossa e con la sinistra rapido la prende lui e se la porta in bocca, sorride e dice “E voilà”- (risposta aggressiva).
Sembrerebbe, tra queste descritte, una sola la risposta assertiva ed è così se isoliamo il comportamento; di fatto tutte le risposte ipotizzate sono assertive perché nascono da una consapevolezza e da una valutazione della situazione. Sono assertive tendenti alla passività o assertive tendenti all’aggressività.
Se l’assertività è intesa come costante per ogni situazione e contesto, e cioè un perenne, perfetto equilibrio raggiunto per mezzo di una straordinaria capacità di armonizzare i contrasti, allora essere assertivi significa essere in grado di soddisfare le proprie esigenze senza ledere, in varia forma e misura, i diritti altrui: il che vuol dire essere simili a un dio.
Ma l’assertività non deve e non può essere intesa prescindendo dalla situazione e dai rapporti tra le persone. Se immaginiamo un continuo che ha agli estremi la passività e l’aggressività, l’assertività si colloca nel mezzo ma in modo dinamico. È un perenne oscillare sostenuto da un atteggiamento realistico e da una capacità di valutazione immediata. Quanto meno è ampio e meno frequente questo oscillare tanto più si è assertivi. Voglio dire che se Antonio si comporta con tutti come fossero suoi figli, allora è passivo, incapace cioè di reagire. E il passivo sveglia negli altri, in genere, la prepotenza.
Per essere assertivi occorre conoscere i propri diritti e quelli degli altri; saper distinguere i diritti degli altri da quelli che sono invece i loro desideri; essere in grado di prevedere le conseguenze delle proprie azioni e di confrontare i propri valori con quelli degli altri; saper discriminare assertività e passività, e assertività e aggressività. Accettarsi e stimarsi. Accettare gli altri, al punto di compiacere qualche volta i loro desideri. Qualche volta. Leggete questa.
Esempio di passività simmetrica, per amore.
Si conoscono da poco e anche loro sono in un bar.
– Cosa c’è nei panini ?- chiede lei al barman.
Il barman spia i sandwich appetitosi: – In uno prosciutto, nell’altro salmone.-
– Li prendiamo tutti e due – decide lui.
Poi lui (gli piace molto il salmone, odia il prosciutto) a lei: – Prendi pure quello al salmone -.
Lei (le piace molto il prosciutto, il salmone la fa vomitare): – Prendi pure quello al prosciutto -.
Cosa c’entra qui l’assertività? Quali capacità sono venute meno soffocate da quali esigenze?
Nell’interazione appena descritta le esigenze dei due potevano armonizzarsi perfettamente ( a ciascuno dei due piaceva ciò che all’altro non piaceva ). Ciò non è accaduto: perciò siamo di fronte a uno splendido esempio di comportamento passivo disadattante per tutti e due i protagonisti, dove stupidamente gioca un processo psicologico assai frequente, quello di attribuire all’altro i propri desideri. Una persona assertiva, consapevole di questo processo, che conosce se stesso e conosce i rischi della passività, avrebbe chiesto all’altro o all’altra:
“ Quale di questi due sandwich preferisci? Propongo di essere sinceri per evitare sacrifici inutili”.
Sì, non è romantico; certamente non è stupido chi parla così in un frangente simile. Si evitano false credenze sulle persone che frequentiamo. Senza contare che dopo vent’anni uno dei due potrebbe rinfacciare: E io che per amore ho ingoiato quello schifoso salmone affumicato!… Immaginate la faccia dell’altro?