L’imponente colonna in pietra che sorregge la statua di Sant’Oronzo nell’omonima piazza raggiunge l’altezza di ben 29 metri ed è collocata proprio nel centro della stessa, esattamente vicino all’Anfiteatro Romano.
La sua laboriosa realizzazione iniziò nel 1660 riutilizzando i massi appartenenti alle colonne di marmo cipollino africano, che in tempi lontani costeggiavano la via Appia a Brindisi ed i cui lavori furono bloccati, per poi riprendere nel 1681 e concludersi nel 1686.
In alto troneggia la statua in bronzo di Sant’Oronzo, la cui realizzazione si deve all’ingegno dello scultore ed architetto leccese, Giuseppe Zimbalo. Il santo, rappresentato con la mano benedicente, sembra proteggere dall’alto tutta la città di Lecce e fu eretta come perenne ringraziamento da parte della popolazione per aver allontanato il flagello della peste dalla città. A causa di uno spaventoso incidente incorso durante i festeggiamenti del santo nell’agosto del 1737, ovvero il lancio di un razzo che bruciò la statua, venne totalmente rifatta: la nuova effige del Santo Patrono fu fusa in bronzo a Venezia su disegno dello scultore leccese Mauro Manieri e riprese definitivamente il suo posto nel 1739.
A Lecce nel febbraio del 1799 si era diffusa la voce che Sant’Oronzo era sul punto di abbandonare la città, rifiutandole la sua protezione. Ad alcuni infatti era sembrato di vedere che la statua, collocata in piazza su una colonna, avesse mutato la consueta posizione: una gamba pareva essersi sollevata come nell’atto di chi compie un passo, mentre l’espressione del viso di Sant’Oronzo era diventata rabbuiata. Alla sensazionale notizia del tentativo di fuga del Santo Patrono, a cui i leccesi erano notoriamente molto legati, accorsero numerosi in piazza per constatare lo strano avvenimento. Ed a causa di un tipico fenomeno di suggestione collettiva, dipendente dagli animi esagitati, a tutti sembrò veramente che la sua posizione fosse cambiata. In realtà questa paradossale situazione era stata architettata e divulgata dai burloni aristocratici leccesi per beffare il popolo in un momento particolarmente delicato.
In quei giorni infatti a Lecce, come in tutte le città del Regno, si vivevano momenti di rilevante euforia: da Napoli giungevano le prime notizie della rivoluzione giacobina, della fuga del re Ferdinando di Borbone e della nascita della Repubblica Partenopea. Anche i leccesi perciò, al grido di “Viva la Repubblica” e “Viva la libertà”, abbatterono gli stemmi borbonici, fregiandosi di coccarde tricolori ed in piazza fu innalzato l’Albero della libertà.
Ciò logicamente non piacque agli aristocratici ed ai preti i quali appunto diffusero la voce che Sant’Oronzo, rammaricato per i disordini che avvenivano, avesse deciso di abbandonare la città. Il tranello ebbe l’effetto sperato: il popolo, complice una generale suggestione, credendo che Sant’Oronzo volesse veramente abbandonare Lecce, nella foga dell’esaltazione abbattè l’Albero della libertà, calpestò coccarde e bandiere e come impazzito, si recò velocemente al Duomo per prendere la statua di Sant’Oronzo ed in processione portarla in piazza per placarne lo sdegno. E solo allora, con immensa gioia naturalmente dei notabili della città, il Santo Patrono riapparve nella sua solita posizione.