Le leggi che disciplinano il rapporto di lavoro, soprattutto quelle introdotte negli anni ’70, sono ispirate al principio del “favor prestatoris”, sono cioè palesemente sbilanciate a favore del lavoratore perché, rispetto al datore, egli è considerato – per ovvi motivi – la parte più debole e, perciò, più bisognosa di protezione.
In quest’ottica si spiega la regola secondo cui, mentre è consentito al lavoratore dimettersi liberamente, cioè recedere da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in qualsiasi momento e senza bisogno di fornire alcuna motivazione (salvo solo l’obbligo di dare preavviso), il datore di lavoro invece non è altrettanto libero di licenziare il lavoratore a proprio piacimento.
Alcuni datori di lavoro, però, per eludere le norme imperative di legge che restringono e limitano fortemente le possibilità di licenziamento dei lavoratori, hanno la “furbizia” – se così vogliamo chiamarla – di far firmare al lavoratore già al momento dell’assunzione la lettera delle proprie dimissioni o, ancora peggio, un foglio in bianco che poi riempiranno ed utilizzeranno a propria discrezione quando riterranno di non volersi più avvalere delle sue prestazioni. E’ facile che il lavoratore al momento dell’assunzione, stordito e distratto dall’euforia per aver finalmente trovato il posto fisso tanto a lungo cercato, non faccia caso a questa firma in più che il datore gli sta chiedendo di apporre. E’ evidente tuttavia che, una volta sottoscritta una lettera del genere, il lavoratore vedrà mutilati i propri diritti, venendo a trovarsi in quella condizione di inferiorità rispetto al datore di lavoro a cui la legge aveva voluto ovviare regolando restrittivamente il potere di licenziamento, perché egli sarà fatalmente asservito ed esposto al ricatto continuo del datore.
Nell’ottobre 2007, con l’obiettivo di contrastare questo diffuso e deprecabile fenomeno delle cosiddette “dimissioni in bianco” dei lavoratori, era stata varata in Parlamento un’importante riforma, che aveva prescritto la necessità di osservare una particolare forma per le dimissioni del lavoratore. La nuova legge si applicava non solo ai lavoratori subordinati ma anche ai co.co.co., agli associati in partecipazione ed ai soci-lavoratori delle cooperative. Nel dettaglio, tale legge aveva stabilito che le dimissioni avrebbero potuto essere presentate esclusivamente mediante la compilazione di un modulo fornito dal Ministero del Lavoro la cui validità era delimitata nel tempo: precisamente, trascorsi quindici giorni dalla sua emissione, tale modulo non avrebbe potuto più essere utilizzato. Tale modulo avrebbe dovuto essere compilato via internet e solo tramite un soggetto terzo abilitato all’accesso informatico (es. sindacato o patronato) il quale convalidasse la volontà del lavoratore e provvedesse all’invio telematico. Tale soluzione, in definitiva, avrebbe reso certo il periodo entro il quale il lavoratore ha espresso la propria volontà di dimettersi, sottraendo così ai datori, in radice, la possibilità di avvalersi delle “dimissioni in bianco” eventualmente estorte ai lavoratori al momento dell’assunzione. Parallelamente, si prevedeva che se un lavoratore si fosse dimesso utilizzando modalità diverse da quelle prescritte con la riforma, l’atto non avrebbe prodotto alcun risultato, dovendosi considerare nullo a tutti gli effetti. Più precisamente, si stabiliva che le dimissioni presentate dal lavoratore potevano essere considerate valide dal datore di lavoro soltanto se rassegnate con le modalità prescritte.
L’entrata in vigore di tale riforma comportava insomma che se un lavoratore fosse stato cacciato via e avesse fatto causa al datore per essere reintegrato nel posto di lavoro il datore non avrebbe più potuto farla franca tirando fuori dal cilindro una lettera di dimissioni inconsapevolmente sottoscritta dal lavoratore al momento dell’assunzione e convincere, così, il giudice che non era stato affatto lui a licenziare il proprio dipendente ma questi stesso a congedarsi.
Tornato al governo Berlusconi, questi ha tuttavia abrogato tale encomiabile riforma del 2007 con il decreto legge n. 112 del giugno 2008, recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” (convertito nella legge n. 133/2008). Pertanto, con un ritorno alla situazione precedente, da giugno del 2008 non è più necessario compilare alcun modulo informatico, ma bastano le “vecchie” dimissioni, predisposte su qualunque foglio.
Perciò, oggi come in passato, converrà che i lavoratori, sin da quando vengono assunti, tengano gli occhi bene aperti e facciano sempre attenzione a quel che il datore fa loro sottoscrivere, perché potrebbe trattarsi delle proprie “dimissioni in bianco”.
avv. ANTONIO CHIRICO – Lecce, via Birago n. 53
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