Dopo una settimana riprendo a parlare di fatti e misfatti relativi ai miei antenati, ritornando a parlare di mio nonno materno. Come già asserito in un precedente articolo, mio nonno era ufficiale di complemento, per la precisione tenente di fanteria di linea e pertanto fu richiamato in servizio allo scoppio del Secondo Conflitto Mondiale ed assegnato ad un battaglione costiero di stanza in Abruzzo.
Alcuni mesi più tardi venne trasferito in un distaccamento dello stesso reparto, stanziato sul Gargano.
Fu qui che il mio avo diventò amico di un capitano tedesco, comandante una compagnia dislocata non lontano. All’inizio si trattava di un normale iter relativo a disbrigo pratiche fra alleati, nel tempo però i due diventarono amici, specialmente quando mio nonno cominciò a rifornire di birra, il cui approvvigionamento era alquanto difficile, il collega straniero. Certo la birra italiana doveva apparire leggerina ad un tedesco, ma sicuramente era sempre meglio di niente. Ma l’amicizia fra i due non era legata solo alle libagioni, spesso il capitano, da buon tedesco, consigliava mio nonno sulla gestione delle forze, rimarcando la differenza fra gli ufficiali teutonici, cui erano delegati solo compiti di comando, e quelli italiani che facevano di tutto.
Poi venne l’8 settembre con le sue drammatiche conseguenze e gli alleati di un tempo diventarono nemici, mentre i nemici divennero alleati. Eppure, oltre i doveri i militari, esiste qualcosa di più profondo e di impalpabile che lega, o forse legava, gli ufficiali di tutti gli eserciti del mondo, un aspetto cavalleresco che trascende le bandiere e contribuisce a creare l’inconfondibile stile dell’ufficiale. Alcuni giorni dopo l’armistizio, i tedeschi si presentarono per requisire materiali di vario genere, incontrando la resistenza degli italiani. Ci fu un breve conflitto a fuoco conclusosi con la resa italiana. Un militare tedesco si fece avanti, intimando a mio nonno, comandante della compagnia, di consegnargli la pistola ma andando incontro ad un netto rifiuto, perché il tenente italiano rispose che avrebbe consegnato l’arma solo ad un superiore o ad un pari grado. Il soldato si ritirò e conferì col suo comandante. Dopo pochi minuti, ecco farsi avanti un ufficiale tedesco, il capitano, l’alleato di qualche giorno prima, l’amico. Non so quali pensieri sicuramente contrastanti possano essere emersi in quel momento nelle menti dei due, visto che per entrambi esistevano due realtà opposte: l’ordine militare e l’amicizia. Mio nonno consegnò l’arma all’ufficiale tedesco ma questi, a sua volta, sussurrò nelle sue orecchie: “Prendi la tua famiglia e scappa via, torna a casa perché fra poco qui si scatenerà l’inferno.” Si lasciarono così, con un saluto militare alle visiere dei berretti, non si sarebbero mai più incontrati. Il giorno dopo mio nonno, con tutta la famiglia, partì per Lecce, come gli aveva consigliato il tedesco che, in segno di amicizia, gli aveva consigliato la fuga per non trovarsi costretto a deportarlo in Germania. Mio nonno non seppe più nulla di lui ma, quando raccontava questa storia, lasciava trasparire sempre una tenue e velata forma di gratitudine all’indirizzo del collega ufficiale, frammista alla speranza che, almeno, anche quel capitano tedesco fosse riuscito a ritornare a casa ed a riabbracciare la sua famiglia.
Cosimo Enrico Marseglia