Ai nostri tempi, quando si parla di travaglio e di parto, la prima cosa che balza alla mente è il “dolore”, si pensa subito che quella di partorire sia un’esperienza dolorosa!
In realtà l’esperienza del partorire è qualcosa di molto più complesso.
L’esperienza del partorire racchiude un insieme di elementi che sono legati alla storia della stessa donna che partorisce, alla storia della sua coppia, alla storia della sua famiglia, della sua specie e del luogo in cui sceglierà di partorire: provare più dolore o meno dolore è quindi legato ad una molteplicità di fattori.
Molto poco, purtroppo, ci si interroga su questa molteplicità di fattori, sui motivi correlati all’intensità del dolore in travaglio.
Banalmente si dice che il “dolore” del travaglio è soggettivo, ma raramente ci si sofferma a verificare quanto sia legato anche a motivi esterni alla donna, riconducibili a volte a procedure routinarie non sempre supportate da evidenze scientifiche o da abitudini che alla luce delle conoscenze attuali potrebbero essere abbandonate.
Le prove scientifiche dimostrano, infatti, che il dolore aumenta moltissimo:
-se il travaglio avviene in un luogo sconosciuto, con attorno persone estranee che seguono pratiche invasive;
– se si è lasciate sole a travagliare;
-se le membrane vengono rotte artificialmente;
-se il travaglio è indotto o accelerato con farmaci;
-se si rimane distese supine senza avere quella libertà di movimento che permette di cercare la posizione in cui il dolore diminuisce e che (guarda caso) spesso aiuta il bimbo ad incanalarsi meglio nel bacino;
-se non si ha il sostegno di una persona cara (purtroppo ancora oggi in alcuni ospedali non è prevista nemmeno la presenza del marito o di un familiare durante il travaglio);
-infine l’allontanamento immediato del bambino dopo il parto amplifica la sensazione dolorosa e toglie la gratificazione compensatoria data dalla possibilità di accoglierlo.
Se l’atteggiamento dei professionisti sanitari può avere un effetto positivo sullo stato emotivo della donna, riducendo i livelli di cortisolo con conseguenze che si ripercuotono anche sullo sviluppo del feto, in altri casi, al contrario, può avere un effetto nocebo e far aumentare i li velli di cortisolo.
Non c’è quindi da stupirsi se in alcuni contesti siano le stesse donne che partoriscono a richiedere o ad accettare la proposta dell’anestesia epidurale in travaglio; al contempo è tuttavia necessario tenere conto che le prove scientifiche d’efficacia associano l’epidurale ad una maggiore durata del travaglio, ad un maggior numero di parti operativi, ad una percentuale raddoppiata di cesarei e ad altri effetti indesiderati che possono protrarsi nel tempo.
Un parto in epidurale è un parto medico, mentre si definisce “parto naturale” un parto senza alcun intervento né chirurgico né farmacologico. Inoltre, un parto naturale è un modo di nascere sicuro.
Il dolore del travaglio è un elemento fisiologico che funge da stimolo al cervello affinché rilasci quegli ormoni necessari a far contrarre l’utero, definiti dal Dottor Michel Odent “cocktail dell’amore”, perché fondamentali a creare l’attaccamento tra mamma e bambino:
-l’ossitocina, “ l’ormone altruista”, che induce ad occuparsi degli altri;
-le endorfine, ormoni endogeni simili alla morfina che fanno parte del nostro sistema di ricompensa, aiutano mamma e bambino a sostenere il travaglio, completano la maturazione polmonare del nascituro, creano un rapporto di “dipendenza” tra mamma e bambino;
-la prolattina, l’ormone materno per eccellenza, la cui produzione in travaglio, contribuisce allo strutturarsi del comportamento materno.
Quando si interviene con l’introduzione di sostanze chimiche dall’esterno si blocca la produzione degli ormoni endogeni perdendone i benefici.
Gli studi sui mammiferi di altre specie dimostrano che le madri che ricevono analgesici durante il travaglio e non hanno la possibilità di leccare i cuccioli alla nascita, se ne disinteressano e non hanno risorse per l’accudimento.
Allora mi chiedo quanto questo possa essere associato al dilagare delle depressioni post parto di cui si sente così parlare ai nostri tempi.
E mi domando anche: perché non creare le condizioni che permettano lo svolgersi dei processi fisiologici così come la natura ha previsto?
L’obiettivo degli operatori dovrebbe essere quello di facilitare l’adattamento positivo allo stress del travaglio.
Numerose ricerche hanno evidenziato che quando i livelli di ormoni dello stress sono bassi all’inizio del travaglio, questo procede più velocemente. I livelli alti riducono le contrazioni e allungano i tempi.
Infondere sicurezza, creare un ambiente intimo, tranquillo e confortevole è fondamentale per fare in modo che si inneschino i meccanismi che fanno procedere bene il travaglio e lo rendano meno doloroso .
Le ricerche scientifiche dicono che questo si ottiene soprattutto con:
-la continuità assistenziale da parte dello stesso team di operatori durante gravidanza e parto;
-l’assistenza one-to-one da parte di un’ostetrica;
-il supporto emotivo continuo degli operatori durante il travaglio;
-la presenza del partner o di una persona affettivamente vicina alla donna;
-il tocco;
-il massaggio;
-suggerimenti su come stare col dolore;
-libertà di movimento;
-informazioni sulla progressione del travaglio stesso;
-la partecipazione attiva da parte della donna.
Inoltre è ampiamente dimostrata l’efficacia di alcune terapie complementari quali l’aromaterapia, l’agopuntura, la digitopressione, il massaggio che presentano anche l’indubbio vantaggio di essere eterogenee, avere modalità di pratica semplici e disponibili per chiunque, non presentare effetti collaterali e, cosa di notevole importanza di questi tempi, costi bassissimi.