Verso la fine dello scorso millennio, un ministro della Repubblica del governo presieduto da Massimo D’ Alema, Oliviero Diliberto del Partito di rifondazione comunista, ha sostenuto la superiorità di Lino Banfi su Michelangelo Antonioni, andando ad ingrossare una schiera di giovani critici
che avrebbero, su varie riviste specializzate, da “Amarcord” a “Nocturno”, tentato di riconsiderare quel grosso insieme di film low budget realizzati soprattutto negli anni settanta e di elevarli da prodotti genericamente definiti spazzatura, trash, a fenomeni di culto da contrapporre al cinema dei maestri.
Prima di collassare e sparire come il Titanic, riuscendo a salvarsi qua e la nella zattera televisiva, i generi cinematografici sembrano fondersi e confondersi, confondere i loro autori, attori, soggettisti e sceneggiatori.
Se, come si è detto in tutti i generi, l’ultima spiaggia sembra quella di convertirsi all’erotismo e al porno, più o meno soft, il successo della commedia erotica consiste, nel fatto che in esso confluiscono anche altri generi popolari, per questo la fine sembra ritardata.
La commedia erotica, è prima di tutto, il collettore in cui finisce e riprende vita per qualche anno l’ avanspettacolo riuscendo a dare maggiore visibilità nazionale a una compagnia di comici che avevano battuto per anni i palcoscenici prima dello spettacolo cinematografico – i templi di questo tipo di spettacolo sono stati l’Ambra Jovinelli di Roma o il salone Margherita di Napoli, dalla fine dell’Ottocento –
facendo circolare barzellette pesanti e battute di ogni tipo sulle diverse figure politiche al potere. Dopo che sulla scia del Decameron pasoliniano, nel corso di un quinquennio, si è avuta l’impressione di dare fondo a tutta la letteratura erotica universale – da Decameron proibitissimo a Boccaccia mia statti zitta (Franco Martinelli 1972) a Le calde notti del Decameron ( Gian Paolo Callegari 1972), da Canterbury proibito (Italo Alfaro, 1972) a Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda (Mariano Laurenti, 1972) – si decide di ritornare a raccontare storie scollacciate in cui sono perlustrati soprattutto i vizi di famiglia. In un calderone unico possiamo osservare attori come Al Bano e Romina Power, Alvaro Vitali e Edwige Fenech, Lino Banfi, Gloria Guida, Nino D’Angelo e Alberto Lupo, e titoli più diversi: da Amarsi un po’(Carlo Vanzina, 84) a Il ragazzo del Pony express (Franco Amurri,1986), Rimini Rimini (Corbucci,1987) a Pierino la peste alla riscossa e Pierino torna a scuola (Laurenti,1990). La commedia, con questi film, cancella di colpo i vent’anni di sforzi per acquisire una legittimazione critica e culturale, ma è proprio il loro successo ad agire da laccio emostatico nei confronti dell’arresto dell’emorragia del pubblico popolare, che ritrova sullo schermo i corpi delle belle ragazze e le barzellette da caserma da qualche anno uscite di circolazione per la sparizione dell’avanspettacolo. Ma oggi quali sono i buoni motivi per occuparsi di questi film, dove le sceneggiature non sono altro che l’assemblaggio di barzellette goliardiche e le battute infarcite di oppi sensi, (Edwige Fenech che, in La poliziotta fa carriera,1976, riesce a salvare un pappagallino fuggito dalla gabbia:< So’ a aiutà sto poveraccio che s’è perso l’uccello >, < L’uccello lo prendo io >. Film girati in fretta ma non privi del mestiere, con Nando Cicero, Mariano Laurenti, Sergio Martino che fanno regredire l’erotismo al livello di un voyeurismo da sedicenni e creano grandiosi monumenti all’atto mancato, pur esibendo i corpi svestiti di belle fanciulle si occupano nel modo più scorretto, ma congruente con la visione del mondo dal pubblico dell’epoca, dell’omosessualità, come dei problemi razziali, religiosi e politici. Figlio del qualunquismo, del varietà e dell’avanspettacolo, il cinema spazzatura accomuna i politici di destra e di sinistra nella stessa visione, considerandoli naturalmente ladri, corrotti, incapaci e in genere deride istituzioni e leggi rafforzando la convinzione dell’indistinzione dei valori, e che “stupido e ignorante e bello”. Bisognerà riconoscere nelle caricature di provincia dell’Italia di fine anni settanta una significativa foto di famiglia dei modi di vivere e pensare ampiamente diffusi e capaci di orientare in maniera significativa l’ago della politica nei decenni successivi. Di fatto, la critica giovane non si riconosce nei modelli del cinema dei padri, rifiuta il cinema come “esperienza estetica privilegiata” come rifiuta ogni forma di cultura di difficile comprensione. C’è un continuo sberleffo dell’arte in questi film, e non vengono nemmeno risparmiati i grandi padri della letteratura < Silvia rimembri, bella culona> o <la donzelletta vien dalla campagna e la chiappa si bagna….> L’allenatore nel pallone, 1984.
Il cinema trash raccoglie tutte le disfunzioni e gli elementi negativi dell’Italia del dopo – miracolo, un paese in cui quasi nulla funziona, le differenze tra regioni sembrano aumentarne la distanza ed esaltarne gli stereotipi, la corruzione dilaga, l’illegalità sembra essere scritto nel codice genetico degli italiani, gli evasori vengono premiati, i contribuenti onesti tartassati. Non muore questo tipo di produzione ma secondo il principio dei vasi comunicanti, passa dagli anni ottanta sul piccolo schermo, continuando a proporre le medesime battute e gli stessi doppi sensi anche nei due decenni successivi.
Bibliografia: La commedia all’italiana di Enrico Giacovelli, Gremese editore