Continua la prestigiosa esposizione di Daphne Cazalet nell’antico maniero Carlo V della città di Lecce “RaccontidellaPelle”, una personale forte, dirompente e avvolgente, allestita dal 12 agosto al 10 di settembre 2011.
Nata in India, ma vissuta altrove, in Inghilterra prima e poi più a lungo in Australia, dove si è formata, come ella racconta, ha percorso numerose strade ed ha incontrato molti sguardi e ascoltato una infinità di storie di artiste e donne comuni. Inequivocabilmente il filo conduttore del suo “fare artistico” è la figura femminile, aborigene e migranti, molto vicine alla sua esperienza personale. E come ella stessa chiarisce “la fonte delle mie immagini sta nel bisogno di venire a patti con il mio percorso emotivo della mia esperienza di migrante”.
Daphne Cazalet ha compreso le difficoltà che molte donne oggi, ma anche e soprattutto, prima di lei -e tra queste vi è sua madre, della quale ricorda la fierezza- hanno affrontato e affrontano con dignità intrisa di profonda sofferenza e umiliazione.
È nelle radici che scava e indaga la donna, muovendosi all’interno di problematiche sociali, ed ecco “RaccontidiPelle” dove ognuna è sulla propria pelle che vive e prova a conquistare il suo diritto di persona, di madre, di figlia in un mondo che ancora la vorrebbe silenziosa e sottomessa. Ma ella penetra il segreto della vita e ne conosce le risposte, perchè riesce a percepire il mondo com’è realmente, quando, nel frattempo, come afferma l’artista, l’uomo va a cercare il mondo per tentare di capirlo, reinventandolo.
Le sale del castello sono colme dei respiri di queste donne che sembrano aver occupato tutti gli spazi non solo delle pareti, ma anche quelli dello spettatore, così, percorrendo la mostra si prova la sensazione che occorre farsi largo per poter sostare.
Le donne meravigliano e commuovono, nonostante la loro intensa carnalità, dove le pennellate sono ordinate, quando l’artista usa la punta del pennello, ma poi, quando rivoli scomposti scendono liberamente lungo la tela e gli acrilici si incrociano e si confondono in larghe pennellate, l’ordine non è più rispettato.
Sostiamo di fronte ad una pittura dirompente e vigorosa dai colori caldi e struggenti, dai tratti abili e sicuri, in movimenti di corpi sinuosi e vigorosi, carichi di energia vitale, pronti a tutto, per affrontare e sfidare il mondo e la vita, nonostante i ripiegamenti e le sofferenze in una società crudele e sorda.
E tutto questo accade in ogni angolo del mondo e la pittrice ne è stata testimone oculare.
I corpi di attrici o ballerine, questi sono i suoi modelli, si propongono in tutta la loro bellezza, immersi in guizzi di luce, occupando l’intero spazio della tela, infondendoci la sensazione che da un momento all’altro debbano abbandonare i pannelli per mettersi in cammino.
L’artista ha sentito forte il bisogno di far ascoltare la voce, perchè nella narrazione è contenuta l’intera esistenza, solo narrando le donne possono riscattarsi, la libertà di parola può salvarle.
Nelle tele ognuna è sola, perchè ogni storia è unica e irripetibile: nelle tre opere “Oltre il confine”, c’è sempre un “oltre” i confini stabiliti dalla fisicità delle forme e delle cromie di corpi rivestiti solo di pelle, dove i seni e il ventre sono sempre in primo piano, ma, quando è necessario, anche i volti, le braccia, le gambe e le mani.
Incrociamo sguardi di stupore di fronte alle crudeltà, come “Donna in trappola” e “Donna allarmata”. Nei 2 trittici “Paesaggio di lacrime, Rosso” e “Paesaggio di lacrime,Verde” la differenza non è nelle forme, ma nei colori, l’uno rosso zampillante, simbolo di sangue, passione e dolore, l’altro verde-azzurro, dove l’artista concede una profonda e indubbia speranza per questo viaggio che la donna affronta in ogni giorno della propria esistenza.
Sguardi affacciati ad una finestra desiderosi di giorni futuri migliori, sguardi pensosi e attenti, donne che a volte volgono le spalle allo spettatore come se avessero fretta di andare, perchè ogni indugio o distrazione sono una perdita, come in “Donna che avanza” e “Pelle di Seppia 1”
Ogni spazio ha la propria identità. Rigore e curiosità sperimentale li troviamo anche in “frammenti in evidenza”, opere dalle dimensioni più piccole, legate ad una naturale abilità artistica e poetica.
Le tele esaltano corpi perfetti in una esistenza imperfetta, corpi compatti che devono affrontare un mondo che esige spalle larghe, dove i colori e i segni si equilibrano in continui giochi di rimandi e di cromie “stridenti” proprie della cultura di Daphne Cazalet: blu, aranci, bianchi, verdi, nuance di marroni che si evolvono per plasmare sogni, trainati e stimolati dall’elemento predominante di un esaltante rosso, che ne rafforza la drammaticità dei soggetti.
Dalle 25 tele in esposizione, emerge un impianto volumetrico e compositivo estremamente solido dove le figure scolpite in calde cromie emanano esplosioni di luce e ne sottolineano la profondità dello spazio in gesti vigorosi che appartengono a chi lotta per cambiare il proprio destino.
Sono donne vive, racconti veri che l’artista ha ascoltato dalle loro voci ai quali, nella sua cifra artistica, intende rendere omaggio, in ricordo di tutte coloro che ha conosciuto con le quali ha condiviso le gioie dell’arte, del teatro e della danza, ma anche i dolori del quotidiano. Nel frattempo, nella sua più ampia generosità, ne fa dono anche a noi spettatori, per scuoterci, per metterci in guardia e imparare a conoscerci per portarci rispetto, in un presente che si sfarina quotidianamente e silenziosamente sotto gli occhi di tutti.
Per queste ragioni e molte altre che ognuno saprà trovare, non bisogna perdere l’opportunità di visitare questa la mostra.
Frattanto Daphne Cazalet ha messo radici, non si sa per quanto tempo, in terra di Salento, il luogo per eccellenza, dove, molto spesso, il silenzio è rotto solo dal vento che viene dal mare.