Lo scorso aprile, in un articolo sul Convento dei Padri Passionisti di Novoli, accennai ad un fatto di per sé grave, caduto, come spesso purtroppo, nell’inconsapevolezza di molti e nell’indifferenza di alcuni. Anni fa, sulla parte più alta della facciata vi erano quattro piccole fenditure: una di queste ospitava, nei mesi primaverili, una coppia di barbagianni
che al mio arrivo era solita affacciarsi, emettendo dei versi simili ad un soffio, tipici di questa specie. Nella notte, la loro presenza donava al luogo un’atmosfera del tutto particolare, carica di quella salentinità che oramai si riesce a percepire appena. Oggi, quelle fenditure non ci sono più, murate dalle intenzioni di chi, a torto, voleva probabilmente impedire l’accesso ai colombi o magari soltanto migliorare l’aspetto estetico dell’antico Convento.
Senza tener conto che, così facendo, avrebbe cancellato, per sempre, una presenza selvatica significativa, quanto utile, non certo scomoda. Quale danno mai avrebbero potuto arrecare i barbagianni? Vantaggi, semmai: ricordo che con mio padre ci fermavamo sotto quella fenditura tutte le notti, per almeno mezz’ora, e a turno l’uno o l’altro spiccava il volo più o meno ogni cinque minuti, tornandosene sempre con un roditore fra gli artigli. Era ovvio che, oltre a se stessi, i barbagianni avrebbero dovuto provvedere anche ai piccoli, quindi la caccia era pressoché continua e si sarebbe protratta per tutta la notte. Questo conferma quanto i barbagianni possano servire all’agricoltura, catturando una gran quantità di prede spesso dannose. E invece, si incontrano ancora ostacoli alla vita selvatica nei centri abitati. Una vita che nel Convento, attraverso una politica di restauro più oculata, avrebbe potuto continuare ad esserci, anche con l’installazione di una cassetta in legno, se proprio era necessario dover intervenire. Ma, evidentemente, a nessuno importava della loro presenza, anche se mi piacerebbe pensare che, in realtà, nessuno se ne sia mai accorto.
Come i barbagianni, anche gheppi e grillai, rapaci dalle abitudini diurne, hanno risentito della chiusura di quelle che, per anni, forse centinaia, sono state le loro cavità. Il falco grillaio, in particolare, molto simile al più comune gheppio, è stato protagonista, pochi anni fa, di un progetto di reintroduzione svolto dall’Osservatorio Faunistico Provinciale di Calimera in collaborazione con il Comune di Sannicola e l’Università del Salento che ha interessato l’area della “Montagna Spaccata e delle Rupi di San Mauro”, posta sul litorale ionico a nord di Gallipoli. Un contesto naturale che ha mantenuto nel tempo quegli spazi aperti, privi di coltivi, ideali per il ritorno del grillaio. Soltanto qui, infatti, questo piccolo predatore avrebbe potuto trovare e cacciare cavallette, grilli talpa o altri insetti, purché di notevoli dimensioni. Ma non sarebbe comunque stato sufficiente. Il grillaio, per potervi restare durante i mesi più caldi, avrebbe avuto bisogno di anfratti, cavità naturali presenti nelle nostre masserie e soprattutto nei centri storici, mentre gli stessi lavori di restauro hanno impedito la possibilità di riprodursi e deporre le uova. Partito nel 2005, il progetto si prefisse l’obiettivo di ricreare una nuova colonia nidificante nel parco. Lo staff tecnico del Museo di Calimera preparò per alcuni esemplari non più recuperabili due delle voliere che ospitano normalmente gli animali in cura. Al loro interno furono costruiti degli alloggi in legno, idonei per ospitare coppie in cattività, oltre ad una struttura opportunamente riscaldata per potervi trascorrere le ore più fredde della giornata. Una fase che precedette la deposizione e la schiusa delle preziose uova, anche con il supporto di un’incubatrice. I giovani nati, poi, in grado già di termoregolarsi ed alimentarsi autonomamente, ma non ancora di volare, furono rilasciati nell’area naturale, seguendo il metodo dell’hacking, vale a dire, stabulati in un ambiente simile a quello in cui si sarebbero ritrovati in natura: per loro ancora nidi di legno dunque che riportano alla memoria i tradizionali anfratti. Alimentati e monitorati fino all’involo, grazie a questa tecnica, i piccoli grillai acquisiscono l’imprinting con il luogo, tanto da ricordarsene per tornare a nidificare. Il progetto, conclusosi nel 2008, in effetti, riuscì negli anni successivi a riportare nell’area alcune coppie.
Vittime delle scelte “tappabuchi” sono, inoltre, i rondoni. Sembra che in Europa la loro presenza stia diminuendo. Per intenderci, i rondoni sono gli uccelli che spesso chiamiamo “rondini” e che vediamo sfrecciare in città con l’arrivo della primavera. In realtà, oltre ad essere specie diverse dalla rondine, non appartengono nemmeno allo stesso ordine di uccelli. I rondoni sono, infatti, degli Apodiformi che, al contrario dei Passeriformi (ordine cui appartengono le rondini), hanno zampe molto corte. Per questo, non vedremo mai un rondone posarsi a terra per raccogliere del cibo o del materiale per costruire il nido. I suoi arti, infatti, non riuscirebbero a sorreggere il peso e la lunghezza delle ali, quindi, sono costantemente in volo. E sempre in volo, incredibilmente, dormono. Ai rondoni non rimane altro che trovare fori nei muri, spesso proprio sotto i tetti delle nostre case, e costruire un rudimentale nido con della saliva e qualche piuma raccolta per aria. Per involarsi, poi, basta solo lasciarsi andare nel vuoto. È logico allora come, ritrovando il foro coperto, questo formidabile cacciatore di insetti si allontani per sempre dal luogo. Si stima che nella sola Gran Bretagna, dal 1994 sino ad oggi, la sua popolazione sia diminuita del 40-50% il che ci può dare un’idea di quella che è la sua situazione in Europa. Se questi e tanti altri inquilini di chiese, tetti e campanili dovessero tutti abbandonare la loro dimora, chi conterrebbe gli effetti negativi che altri animali sostengono? È vero che per l’agricoltura e la nostra stessa salute potremmo ricorrere alle disinfestazioni chimiche, ma che cosa c’è di naturale in questo?