“allo specchio”: guardarsi allo specchio non per compiacerci come Narciso, ma per conoscerci osservandoci; per ipotizzare motivi alla base dei comportamenti e delle modalità con cui ci poniamo in relazione con gli altri, con noi stessi, con gli oggetti; per comprendere il senso di alcuni modi di dire, di gesti e mimiche che esprimiamo, di posture che assumiamo.
L’affettività oggi
Il modo di porsi in relazione con se stesso, con gli altri, con l’ambiente, può essere, ovviamente, di segno positivo o negativo: accettare o rifiutare se stessi; accettare o rifiutare le idee degli altri; essere tolleranti ovvero intolleranti verso eventi che accadono e ci toccano.
Queste sono le capacità affettive, che si pongono lungo un continuo teorico.
Per esempio: affettività positiva verso Sé significa che l’individuo conosce se stesso (cosa desidera, come manifesta questi desideri); solo se egli conosce se stesso è in grado di accettarsi ( o non accettarsi ); se si accetta, acquista fiducia in sé. Quindi una scala di capacità sempre più rilevanti.
Altro esempio: affettività positiva verso gli Altri significa che l’individuo è in grado di stabilire un contatto; solo se stabilisce un contatto può comunicare; comunicare è condizione necessaria ( non sufficiente) per essere tolleranti.
Caratteristica delle capacità affettive è che, pur essendo disposte su un continuo, sono su un continuo che si dilata, fluido. Queste capacità “scivolano in avanti o restano indietro” indipendentemente dall’età, dalle convenzioni, dalle situazioni.
Una delle capacità affettive più difficile da apprendere è “reagire positivamente agli insuccessi”. Ci sono bambini e ragazzi che hanno sviluppato questa capacità e si pongono con una certa dose di serena accettazione di fronte alle frustrazioni subite. Molti adulti non ne sono capaci.
Apprendiamo queste capacità stando in contatto con ciò che ci circonda; le assumiamo – spesso in modo inconsapevole – da ciò che per noi rappresenta un modello. Modelli sono soprattutto gli adulti della nostra infanzia.
Bene! Questa è l’affettività. Forse si può manifestare in modo diverso.
Infatti ci sono delle novità nei modi di relazionare con gli altri. Nel chiuso di una stanza, davanti a una console, si naviga nel cyberspazio, in un universo virtuale, e si contatta il mondo: molti, tanti, che esistono e non esistono. Si chatta, si “discute”. Ne vediamo le parole, scritte sullo schermo. Un nuovo modo per incontrarsi. Forse in rete “si dice di più”, ma non è un guardarsi negli occhi, non è un sentirsi parlare. Certamente un nuovo modo di “ascoltare”.
Ci sono pure delle novità nei modi in cui assumiamo le informazioni. La televisione non permette lo scambio, e in più confonde realtà e immaginazione. Si pensi al rapido passaggio di immagini che sono fiction, e poi altre che sono eventi reali, e ancora altre che sono spot che impongono messaggi. Tutto nel giro di secondi.
Intanto, nel tempo libero, l’individuo è spinto a inserirsi in gruppi culturali, sportivi, ricreativi e a impegnare se stesso insieme agli altri tanto più quanto più si incrementa il tempo libero. E questo può andar bene. Potrebbe esserci il limite della comunicazione “segmentata”, proprio per il fatto che con alcuni ci incontriamo al cinema o a teatro, con altri in palestra, con altri ancora per trascorrere una serata impegnati in un gioco.
Il lavoro presenta altre problematiche. Si portano avanti compiti che rappresentano singole parti di un ciclo produttivo ampio che non si padroneggia totalmente. Caratteristica, questa, di un’era tecnologica che da tempo si cerca – con poco successo – di superare allo scopo di salvaguardarci, tutti, dall’alienazione.
Viviamo contraddizioni molto forti e l’individuo apprende differenti modi di porsi in relazione con l’ambiente psicologico e fisico in cui si trova, modi differenti che dovrebbero soddisfare comunque la sua esigenza – di sempre – di inserirsi in gruppi di varia natura.
Possiamo dire che l’uomo sta manifestando nuovi modelli di comportamento affettivo. Inventerà nuove forme di ascolto, nuove modalità comunicative, nuovi modi di contattare ciò che lo circonda, lo pervade, lo invade.
Cambiare soltanto il modo di esprimere l’affettività può andar bene. Non andrebbe bene se il cambiamento coinvolgesse la natura delle capacità affettive che abbiamo considerato all’inizio. Insomma un cambiamento in superficie lo accettiamo, se non ci danneggia, se restano inalterate, nella sostanza, la fiducia in noi stessi e la tolleranza. E se poi il continuo dell’affettività rimane fluido significa pure che ognuno di noi resta in grado di elaborare in modo personale ciò che l’esperienza gli insegna.