Razès, nome della regione che circonda la cittadina di Rennes le Chateau fu teatro d’incontro di culture differenti (Celti, Galli, Romani e Franchi) che lì vi si stanziarono per via dell’importante posizione strategica utile agli scambi verso la Spagna e l’Italia e per la buona qualità della terra.
Ritengo inopportuno dilungarmi sulle vicende e gli enigmi di Rennes le Chateau che da sempre appassionano e dividono scrittori e dilettanti, scienziati e cultori di esoterismo; la letteratura e la vasta mole di materiale a riguardo rendono pressoché vana ogni successiva aggiunta e ogni speculazione circa la storia del sito e della misteriosa chiesetta.
Piuttosto interessante è invece il curioso legame che intercorre tra il “terribile luogo” e alcuni pregevoli dipinti del periodo Barocco, le cui vicende sembrerebbero intimamente legate a esso e alla zona circostante il villaggio di Rennes.
Parliamo ovviamente del dipinto conosciuto come “Et In Arcadia Ego” di Giovanni Francesco Barbieri, meglio noto come il Guercino e degli altrettanto famosi quadri “Les Bergers d’Arcadie” (I Pastori di Arcadia) di Nicolas Poussin. In che modo tali dipinti sono legati a Rennes Le Chateau?
Si racconta di come il parroco Francois Bérenger Saunière (1852-1857), nel corso di alcuni lavori di restauro presso la piccola chiesa di Rennes Le Chateau, rinvenne fortuitamente all’interno di una colonna alcune pergamene antiche che contenevano informazioni cifrate e riferimenti a Dagoberto I, mitico sovrano dei Merovingi ed a due dipinti: “Le tentazioni di Sant’ Antonio” di David Teniers ed al già citato dipinto di Poussin.
Esistono due versioni de “I Pastori d’Arcadia” di Poussin, piuttosto differenti tra loro. La prima versione del quadro risale al 1630 e s’ispira a un’opera del Guercino dipinta dodici anni prima. Nell’opera di Poussin ritroviamo alcuni elementi già comuni all’opera dell’artista centino.
Il dipinto raffigura due pastori nell’atto di osservare una tomba antica, c’è una donna con loro, assente però nella versione del Guercino. Sulla tomba è posto un teschio e incise nella pietra vi sono le lettere che formano la frase “ET IN ARCADIA EGO”.
Per anni studiosi e storici dell’arte hanno tentato invano di dare un significato preciso all’arcano motto, che tradotto letteralmente significa “Ed io sono in Arcadia”. Nessuno ha però saputo fornire una definitiva e plausibile soluzione all’enigma.
La somiglianza del soggetto delle due opere è sorprendente, lascia intendere che gli autori dei dipinti potessero conoscere il significato delle sibilline parole e che, sebbene non sia mai stato attestato un legame diretto tra i due artisti, potessero entrambi intrattenere relazioni con qualche circolo esoterico o qualche committente che ne faceva parte.
Una seconda versione dei Pastori d’Arcadia fu realizzata da Poussin una decina di anni dopo, nel 1639. E’ molto diversa dalla prima, probabilmente è la più conosciuta e più famosa, ed è conservata al museo del Louvre.
E’ questo il dipinto che Saunière cerca di procurarsi. La seconda versione del dipinto attirò l’attenzione di gente come papa Clemente IX e del Re Sole, Luigi XIV, che per diverso tempo lo custodì nel suo studio e lo tenne nascosto gelosamente. E’ questa seconda versione che gli studiosi del mistero di Rennes ritengono intimamente legata alla vicenda e al suo mistero e che sembra rappresentare qualcosa di diverso dalle precedenti versioni.
In questa versione le figure sono quattro. S’è aggiunto un pastore all’idilliaco e misterioso paesaggio.
Tre pastori dunque osservano la strana tomba, intenti a studiare la bizzarra iscrizione. La tomba è priva questa volta del cranio umano. Una donna, la quarta figura, osserva attenta i movimenti dei pastori, è vestita in maniera sontuosa, con abiti che sembrano appartenere alla tradizione classica. Sembra interessata alla reazione di stupore dei tre personaggi chinati verso il misterioso sarcofago.
Quale potrebbe essere la comune origine del dipinto? Quale trama condividevano e cosa sappiamo dei due artisti in questione, il Guercino e Nicolas Poussin?
Ricaviamo tutte le informazioni utili sulla prima delle due figure dagli scritti del conte Carlo Cesare Malvasia (1616-1693), cultore e appassionato dell’arte del Guercino e autore della Felsina Pittrice, biografia dell’artista scritta intorno al 1678.
Giovanni Francesco Barbieri, figlio di Andrea Barbieri e di Elena Ghisellini, nacque presso Cento, piccolo paese collocato a metà strada tra Bologna e Ferrara l’8 Febbraio dell’anno 1591. Conosciuto presto nell’ambiente pittorico come il “Guercino”, per via dell’evidente strabismo, causato forse da uno shock risalente al periodo in cui, ancora fanciullo, era accudito da una badante, mostrò fin da subito una particolare attitudine ed una naturale predisposizione verso la pittura.
Quando all’età di nove anni i genitori decisero di mandarlo come apprendista presso la bottega di un pittore locale, il Guercino, enfant prodige, abbandonò dopo pochissimo il suo insegnante, ritenendo opportuno proseguire da solo gli studi. L’artista centino fu profondamente influenzato dall’ opera di Ludovico Carracci, autore di una pala d’altare sita presso la chiesa dei Cappuccini a Cento.
L’intera opera del Guercino, tra i massimi esponenti della corrente barocca in Italia, assume spesso funzione salvifica e rimanda ai grandi temi della fede cattolica, la quasi totalità della sua produzione tratta episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, mentre altre opere, in minor parte, riguardano temi e situazioni della mitologia e della cultura classica.
Un primo riferimento ad “Et In Arcadia Ego” è ravvisabile nel dipinto “Apollo che scortica Marsia”.
Il dipinto, che risale con precisione al 1618, come si evince dalla biografia, fu commissionato dal Granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici e raffigura un noto episodio della mitologia greca:
[…] In seguito Apollo uccise il satiro Marsia, seguace della dea Cibele. Ed ecco come si svolsero gli eventi:
Un giorno Atena si fabbricò un doppio flauto con le ossa di cervo e lo suonò ad un banchetto degli dei. Essa non riuscì a capire, dapprima, come mai Era ed Afrodite, ridessero silenziosamente nascondendosi il volto tra le mani, benché la sua musica paresse deliziare gli altri dei; appartatasi perciò nel bosco frigio, riprese a suonare nei pressi di un ruscello e così facendo osservò la sua immagine riflessa nello specchio delle acque. Resasi subito conto di quanto fosse orribile a vedersi, col viso paonazzo e le gote enfiate, gettò via il flauto e lanciò una maledizione contro chiunque lo avesse raccolto.
Marsia fu l’innocente vittima di quella maledizione. Egli trovò per caso il flauto e non appena se lo portò alle labbra lo strumento si mise a suonare da solo, quasi inspirato dal ricordo della musica di Atena. Marsia allora percorse la Frigia al seguito di Cibele, deliziando con le sue melodie i contadini ignoranti. Costoro infatti proclamavano che nemmeno Apollo con la sua lira avrebbe saputo fare di meglio, e Marsia fu tanto sciocco da non contraddirli. Ciò naturalmente provocò l’ira di Apollo che sfidò Marsia ad una gara: il vincitore avrebbe inflitto al vinto la punizione che più gli fosse piaciuta. Marsia acconsentì e Apollo affidò il giudizio alle Muse. I due contendenti chiusero la gara alla pari, poiché le Muse si dichiararono egualmente deliziate dalle loro melodie, ma Apollo gridò allora a Marsia: “Ti sfido a fare col tuo strumento ciò che io farò con il mio; dovrai capovolgerlo e suonare e cantare al tempo stesso”.
Il flauto, come logico, non si prestava a una simile esibizione e Marsia non poté raccogliere la sfida. […]
Allora Apollo, nonostante la sua presunta dolcezza, si vendicò di Marsia in modo veramente efferato e crudele, scorticandolo vivo e appendendo la sua pelle ad un pino (oppure a un platano, come altri sostengono) presso la sorgente del fiume che ora porta il suo nome.
La scelta di un soggetto quale Apollo si prestava a una varietà d’interpretazioni. Già Cicerone menziona almeno quattro dèi dallo stesso nome, tra i quali, non posso fare a meno di citare, un misterioso Apollo “che diede all’ Arcadia le sue leggi” e che potrebbe avere un nesso con “ET IN ARCADIA EGO”.
Il tema del dipinto lascia intendere però che si tratti del dio venerato nell’età classica, il dio della medicina, della musica e delle arti poetiche.
L’intera composizione è illuminata dal bagliore di una invisibile Luna, celata dal capo di Apollo, che nella tradizione greca rappresenta il Sole. Il Guercino utilizza consapevolmente l’espediente del capo del dio per coprire il luminoso satellite, l’intera composizione sembra rappresentare quasi una eclissi.
Maestoso, il dio greco occupa lo spazio centrale del quadro, il corpo è illuminato da un’irreale luce che ne enfatizza ulteriormente le caratteristiche ed i tratti divini; i toni lattei dell’ incarnato si contrappongono all’ oscurità del cielo ed alla carnagione del corpo rivale.
Il momento catturato dall’artista è quello descritto nel mito: Apollo si prepara a scorticare il corpo mezzo uomo e mezzo animale del suonatore di flauto Marsia. Legato per le mani a un tronco, il satiro che ha osato sfidare il dio, inutilmente si dimena, mentre Apollo col piede lo tiene fermo e s’appresta con un coltello a scorticarlo vivo.
Il contrasto tra la figura di Marsia e quella di Apollo è evidente nelle contrapposte espressioni: chiara e disarmante la calma e l’atavica indifferenza del dio che si prepara a compiere il gesto efferato. Il viso di Apollo è rilassato, fugace. Marsia si torce e si dimena, non può far nulla, traspare la sua impotenza di fronte al figlio di Zeus.
Nella parte superiore sinistra del dipinto Guercino vi colloca un violino. S’erge infatti come spada di Damocle sul capo del satiro, simboleggia il giudizio, la punizione.
L’immagine del violino rimanda probabilmente alla diffusione degli strumenti a corda avvenuta dopo le conquiste elleniche della Frigia e dell’Arcadia, zone dove solitamente venivano suonati in prevalenza strumenti a fiato. E’ probabile che l’origine del mito di Apollo che scortica Marsia tragga origine da questa storica vicenda.
Nella parte destra possiamo ben distinguere due figure, forse dei pastori. La loro presenza all’ interno della composizione è di difficile interpretazione.
Sebbene siano poco distanti dal dio greco e dall’azione principale, i due uomini volgono lo sguardo altrove, sembrano rapiti da qualcosa d’inspiegabile ed irrazionale. Le loro espressioni sono assai vicine all’estasi. Noncuranti delle grida del satiro e dello scorticamento, i pastori osservano “qualcosa” che il corpo di Apollo tiene nascosto, sembrano disinteressati del tutto al resto. Cosa guardano le due figure?
La soluzione dell’enigma sembra darcela lo stesso Guercino nell’opera che già abbiamo citato e che risale allo stesso anno, il 1618.
Di più piccole dimensioni (82 x 91) “Et in Arcadia Ego”è da porsi senz’altro in relazione con il quadro che già abbiamo descritto. I pastori raffigurati nel dipinto sono i medesimi dell’ “Apollo che scortica Marsia”, conservano l’ espressione e lo stupore medesimi in entrambe le composizioni: è evidente che nei lineamenti e nella disposizione delle figure Guercino abbia voluto citare espressamente l’ opera precedente e porla in relazione con questa. La scena è dunque la stessa, vista però da altra angolazione.
I pastori osservano con attenzione una tomba in pietra sopra la quale giace un cranio umano. E’ ben visibile e chiaro il motto misterioso scolpito sul sarcofago di pietra. Lo spettatore non può fare a meno di notare un inatteso e misterioso piccolo foro sulla parte sinistra del teschio, in prossimità della tempia. Difficile non pensare che quel cranio sia appartenuto ad un uomo che è stato ucciso.
Le ipotesi avanzate riguardo l’interpretazione del quadro sono molteplici.
Taluni ritengono che “Et in Arcadia Ego” potrebbe essere uno dei bozzetti preliminari, che il pittore era solito conservare e poi riutilizzare in seguito per altre opere.
E’ noto infatti che il Guercino, servendosi di disegni e schizzi che portava con sé e gelosamente custodiva, utilizzasse spesso tele e colori ad olio per catturare l’ ispirazione del momento e tenere a mente un soggetto.
“Et in Arcadia Ego” sarebbe dunque un bozzetto a olio completato in seguito, con l’ aggiunta nella parte destra delle figure della tomba e del cranio, per essere venduto.
Ciò non spiega però la scelta dell’artista di inserire una tomba e un teschio alla destra dei pastori, non spiega altresì la genesi della misteriosa scritta posta sulla lastra di pietra. I temi esposti ed il soggetto di un’opera erano quasi del tutto esclusiva del committente, sembra difficile supporre che fu iniziativa del pittore inserire questi elementi.
E perché poi un artista avrebbe inserito in un dipinto incompleto un soggetto tanto insolito e cupo se non fosse stato commissionato da qualcuno? Quale significato assume il teschio umano all’interno opera?
E quale legame intercorre tra questa tela e quella di Poussin?
E’ grazie a Cassiano dal Pozzo che il pittore francese Poussin ha l’opportunità di venire a contatto per la prima volta con l’opera del Guercino. Le fonti ufficiali riportano che il dipinto facesse parte della collezione dei Barberini già nel 1644, ma taluni critici sostengono invece che già nel 1629 il quadro fosse di proprietà della famiglia; ciò spiegherebbe dunque l’origine e l’ispirazione dei “Pastori d’Arcadia” di Poussin, che risalirebbe all’ anno successivo, il 1630.
Poussin conobbe Cassiano tramite Marcello Sacchetti, amico personale del poeta Gianbattista Marino, che a sua volta l’aveva introdotto alla scena romana. L’artista entrò, grazie all’aiuto del noto collezionista, nella ristretta ed esigente cerchia dei Barberini, che ben presto lo trasformarono nel più ricercato e famoso pittore del Seicento, sebbene lo stile del pittore si discostasse dal gusto barocco della famiglia.
Vale la pena soffermarsi almeno un poco sulla straordinaria figura di Cassiano dal Pozzo, che, come vedremo, fu fondamentale per la formazione di Nicolas Poussin.
Cassiano dal Pozzo pur essendo nato a Torino nel 1588 trascorse gran parte della giovinezza a Pisa, dove ebbe modo di conoscere e frequentare Galileo Galilei e di entrare a far parte dell’Accademia dei Lincei, prestigiosa associazione di carattere scientifico fondata nel 1603 da Federico Cesi, Francesco Stelluti, Anastasio De Filiis e Johannes Van Heek.
A Roma Cassiano dal Pozzo è nella cerchia di amicizie di Francesco Barberini, futuro cardinale e nipote di Urbano VIII, il più illustre pontefice del secolo. Mostrò sempre un forte interesse per la scienza e per l’antichità classica e, pur disertando la carriera e la vita politica, riuscì a esercitare un notevole influsso sui personaggi e sulla scena artistica del suo tempo, tanto da essere ricordato come il più importante mecenate privato del secolo e tra i più illustri collezionisti internazionali, suscitando ammirazione e consensi in ogni parte d’Europa.
Il cardinale Barberini spesso in missioni diplomatiche all’estero si fregia della sua presenza.
Molteplici i suoi interessi, spaziarono dalla medicina all’archeologia, dalla botanica all’ ornitologia.
Finanziò sempre con parsimonia artisti e studiosi del suo tempo, non amò mai la ricchezza, preferendo investire ogni sua risorsa nella ricerca scientifica, sebbene famosissimo, non fu altrettanto ricco.
Fu attento studioso di religioni e fedi del passato, collezionando idoli pagani e nutrendo una profonda ossessione per il rito del sacrificio.
Un viaggiatore dell’ epoca non poté fare a meno di interrogarsi riguardo significato di una tela, oggi scomparsa, che raffigurava l’ inquietante scena di un sacrificio.
Cassiano fu anche estimatore ed appassionato studioso di Leonardo da Vinci, finanziò infatti la pubblicazione di una copia del Trattato della Pittura, conservato oggi nella Biblioteca Ambrosiana di Milano ed illustrato dal pupillo francese.
Venuto a conoscenza del talento del giovane Poussin, Cassiano lo assunse subito come copista per un importante progetto che prevedeva una raccolta di disegni e studi delle vestigia dell’ antica Roma rilegati in volume. La maestria dell’artista francese non passò certo inosservata, ed un esperto d’arte e profondo conoscitore del periodo classico quale Cassiano, trovò nel pittore il mezzo per realizzare il suo progetto. Fu forse anche l’idea comune di pittura che legò profondamente queste due figure. Come Cassiano infatti, anche Poussin riteneva che il gusto barocco dell’ epoca, imposto dai Barberini, s’allontanasse dalla perfezione e bellezza della pittura classica e rinascimentale.
Cassiano possedeva in tutto una cinquantina di opere di Poussin, un numero considerevole. L’opera più importante dipinta da Poussin per il mecenate fu la serie dei “Sette Sacramenti”. Traspare nella serie in questione l’idea non proprio ortodossa in materia religiosa dello studioso romano. Alcuni ipotizzano che potesse avere abbracciato la fede giansenista o che avesse aderito a qualche setta scismatica dell’epoca.
La vicinanza e il contatto con Cassiano dal Pozzo, costituirono la migliore delle scuole per Poussin, che mai smetterà nel corso della vita di ringraziare il mecenate romano, riconoscendo sempre grandissimo debito e stima nei suoi confronti. E’ palese l’ influenza dello studioso anche dopo la collaborazione e la partenza di Poussin per la Francia.
“I Pastori d’Arcadia” sarebbe, indubbiamente, meno comprensibile se non lo si relazionasse alla figura ed alle conoscenze esoteriche e storiche di Cassiano dal Pozzo.
La prima differenza che subito balza agli occhi dello spettatore è la presenza nel dipinto di Nicolas Poussin di una figura femminile all’interno della scena, assente (almeno apparentemente) nella versione del Guercino e di un vecchio volto di spalle e col capo coronato d’alloro.
La figura del vecchio rappresenta il fiume Alfeo.
Qual’è dunque il ruolo interpretato dalla figura e che cosa significa?
Per scoprirlo dovremmo considerare quale punto di partenza il dipinto dell’ “Apollo che scortica Marsia”; non è infatti da escludere che Poussin abbia anche tratto ispirazione da questo quadro piuttosto che dal solo “Et in Arcadia Ego”.
Sebbene simili, i dipinti del Guercino e di Poussin si svolgono in due momenti della giornata differenti. Mentre nell’ “Apollo” l’ azione sembra svolgersi a notte inoltrata, l’ azione del secondo dipinto sembra aver luogo al mattino presto. Il contrasto sembra non essere affatto casuale.
Abbiamo visto come sia evidente che nella scena dipinta dal Guercino il corpo di Apollo nasconda in parte la scena che si è presentata innanzi ai due pastori, nasconde forse “qualcuno”, è impossibile stabilirlo con certezza comunque.
Il soggetto omesso nel dipinto del Guercino potrebbe essere la donna ritratta da Nicolas Poussin e vestita di bianco.
Per quale motivo nella versione del Guercino la figura femminile è stata omessa? Potrebbe darsi che il pittore non abbia avuto sufficiente spazio per inserire una terza figura all’interno della tela, ciò avvalorerebbe l’ipotesi che in origine questo fosse un bozzetto su olio.
Non è da escludere nemmeno che l’autore del quadro abbia volutamente celato la figura della donna, lasciando che lo spettatore potesse intuire una presenza femminile, legata alla Luna, attraverso l’analisi dell'”Apollo che scortica Marsia”.
E il capo del dio che tiene nascosto il corpo lunare rappresenterebbe sicuramente l’indizio, un utile richiamo atto a identificare e intuire con esattezza il ruolo dalla figura femminile ritratta invece nel dipinto di Poussin.
Nella tradizione greca la dea associata alla Luna è Artemide, sorella di Apollo.
Artemide è una delle grandi divinità greche, figlia di Zeus e Latona è identificata dai Romani come la dea Diana. Raffigurata spesso come una fanciulla cacciatrice, è simbolo della potenza della Luna che si manifesta soprattutto nel ciclo della fecondità femminile, animale e vegetale.