Ha fatto sicuramente discutere nelle scorse settimane la sentenza della Corte di Cassazione, la quale non vedrebbe più il carcere come misura obbligatoria per punire chi ha commesso uno stupro di gruppo. I giudici quindi vedrebbero misure alternative alla galera per il cosiddetto branco.
Inevitabili i commenti soprattutto da famiglie vittime di tali violenze nei confronti delle loro figlie. C’è addirittura una famiglia che dal 2007 sta ancora chiedendo giustizia. Siamo a Taranto. Qui una ragazzina di 13 anni, Carmela, viene violentata da più persone (sia minorenni che maggiorenni) dopo essere stata drogata con anfetamine. La ragazzina denuncia gli aggressori, ma i giudici non le hanno creduto. Anzi, avrebbero dato colpa proprio alla ragazzina, definendola, una poco di buono, una provocatrice, addirittura una prostituta. I suoi stupratori rimangono (e sono tuttora) liberi, per strada. Carmela invece, comincia una strada difficile fatta di perizie psichiatriche e psicofarmaci. I medici che la visitano la definiscono un “soggetto disturbato con capacità compromesse”. Un giorno la ragazzina dice ai suoi genitori di andare in bagno. Ma si getta dal settimo piano del suo appartamento. Era 15 aprile 2007.
Da allora la famiglia non si è mai arresa e ha cercato in tutti i modi di ottenere giustizia, farsi ascoltare, dimostrare chi sono i colpevoli. Le difficoltà sono tante. «I processi sono molto lunghi – afferma il padre di Carmela, Alfonso Frassanito – e le udienze avvengono a una distanza troppo lunga l’una dall’altra». C’è chi ha accusato il signor Frassanito di nefandezze, non essendo lui il padre naturale di Carmela, morto quando lei aveva solo un anno. Nel frattempo i due aguzzini minorenni (all’epoca dei fatti avevano 16 anni) confessano, ed evitano il processo. Il giudice del tribunale dei minorenni di Taranto Laura Picaro li ritiene meritevoli della “messa in prova”. In pratica per 15 mesi saranno messi sotto osservazione: seguiranno un programma di rieducazione e offriranno assistenza agli anziani. Se faranno i bravi il dibattimento verrà cancellato.
La famiglia di Carmela continua a lottare, dando vita, non senza difficoltà, all’Associazione “Io So Carmela” (era il modo di dire della ragazzina), per cercare – sfruttando la loro triste esperienza – di salvare e tutelare storie analoghe ancora senza risposta. «Ci siamo resi conto – rivela Alfonso Frassanito – che ci sono tante altre storie come la nostra e senza risposta. E sono, come noi, totalmente abbandonate. Credo che l’unico modo per dare un senso alla morte di una ragazzina di 13 anni, sia solo ed esclusivamente questo».
E Alfonso ci lascia un ricordo di Carmela: «Una ragazzina come le altre. Voleva essere solamente amata. E oggi è al fianco di tante ragazzine come lei, vittime di queste violenze assurde».