In pochi giorni, sono arrivate a sfiorare quota mille le firme raccolte nella petizione on line (http://www.firmiamo.it/no-al-progetto-tap). La protesta prevista per questo pomeriggio, alle 16, sul lungomare di San Foca, a Melendugno, servirà ad alimentare il tam tam.
A volerla il Comitato che da mesi dà battaglia contro il progetto del mega gasdotto Tap, quello della Trans Adriatic Pipeline, nel cui assetto societario ci sono anche gli svizzeri della EGL e i norvegesi della Statoil. Un progetto faraonico, da 1,5miliardi di euro, per dare una “via meridionale” all’oro azzurro del Mar Caspio, incanalato dall’Azerbaijan attraverso la Grecia e l’Albania, fino alle fragilissime falesie di San Foca. Avrebbe dovuto essere aprile il mese decisivo per capire le sorti di Tap, invece la Socar e la joint venture Aioc, che gestiscono Shah Deniz (il giacimento di gas da cui provengono le riserve), ancora sembrano non aver sciolto le riserve, rimandando la decisione tra i quattro progetti concorrenti. Uno, infatti, esclude l’altro e a darsi battaglia ci sono Itgi Poseidon, la cui condotta è previsto che sbarchi a Otranto, e poi, ancora, il Nabucco e il South Stream, questi ultimi concorrenti per la “via settentrionale” europea.
I tempi, quindi, si allungano ma consentono a Tap di recuperare il gap che finora l’ha vista arretrata rispetto a Itgi, che, partecipata da Edison e dalla greca Depa, ha già nel cassetto un progetto esecutivo con tutte le autorizzazioni del ministero dell’Ambiente e di quello dello Sviluppo Economico. Nonostante i ritardi e nonostante, poi, l’occhio di riguardo che il governo italiano ha sempre avuto per Itgi, Tap ha un asso nella manica. La Statoil, suo partner, è la stessa società che detiene un quarto delle azioni proprio del consorzio che gestisce i pozzi di Shah Deniz.
Gli interessi dunque sono ampi, intrecciati, di certo sovranazionali. Contro di questi, sul piano formale, per il momento, ci sono i no, netti ma deboli, dei consigli comunali di Melendugno e di Vernole. Davide contro Golia. C’è però anche un movimento di protesta che si fa sempre più a tamburo battente, appunto quello del Comitato. “Se il gasdotto verrà realizzata- dicono- saranno inevitabili le trivellazioni sulla già fragile e corrosa costa di San Foca, la costruzione di una centralina di depressurizzazione con emissioni di gas ‘in caso di emergenza’ a soli 700 metri dal centro abitato di Acquarica di Lecce, l’espianto di centinaia di ulivi secolari per un corridoio di 25km, la distruzione dei fondali di Posidonia (pianta acquatica protetta)”. Da un lato le paure legate alla tutela ambientale, dall’altro quelle sulla ricaduta economica che potrebbe compromettere una volta per tutte un territorio a vocazione turistica. Ecco perchè il no si grida forte. Oggi più di prima.