Quattro anni di carcere anche in appello per il civilista 76enne di Andrano Luigi Retucci. Nulla di fatto né per l’accusa né per la difesa. Continua a reggere l’incriminazione per riciclaggio, ma viene confermata l’assoluzione dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Il legale fu arrestato nel febbraio 2004, nell’ambito dell’operazione “Lupa”, condotta dagli agenti della squadra mobile, che portò alla notifica di settantadue ordinanze di custodia cautelare, molte delle quali a persone insospettabili e incensurate.
Tra queste c’era proprio Retucci che, secondo l’impostazione accusatoria, avrebbe fatto affari con i soldi del clan. Il professionista sarebbe stato molto vicino ai vertici dell’organizzazione, Romolo e Remo Pantaleo, rispettivamente padre e figlio, da cui prese il nome il blitz. L’avvocato sarebbe arrivato anche al punto di dare loro consigli su come acquistare immobili, investendo il denaro provento dell’attività illecita, o di fornire indicazioni sulle procedure da seguire per evitare, in futuro, un eventuale sequestro del bene, invitando (sempre secondo l’accusa) il boss ad intestare la villa ad uno dei suoi congiunti. Tutti questi elementi sarebbero emersi dalle numerosissime intercettazioni ambientali raccolte nel corso dell’inchiesta e dalle dichiarazioni di Remo Pantaleo che, dopo l’arresto, nel 2005, decise di collaborare con la giustizia.
Il procuratore generale Nicola D’Amato ha così appellato la sentenza di primo grado, chiedendo una condanna a sei anni di carcere. I legali dell’imputato, gli avvocati Luigi Covella e Luigi Piccinni hanno invece chiesto l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”.
Ma la Corte d’appello, rigettando entrambi i ricorsi, ha confermato la condanna a quattro anni per l’accusa di riciclaggio, e l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” per l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.