Il magnifico rettore dell’Università del Salento, Domenico Laforgia, è stato eletto alla presidenza della Fondazione, che dovrebbe gestire anche gli eventuali fondi per l’edilizia universitaria. Il nuovo incarico ha fatto storcere il naso a qualcuno: c’è chi ravvisa un conflitto d’interesse.
Intanto il rettore, ieri, subito dopo l’intervista al Corriere Salentino, è partito per continuare il suo lavoro di «edificazione di una rete internazionale» che permetta all’università salentina di collegarsi a tutte le realtà che contano: Laforgia nei prossimi giorni sarà in Cina, per avviare nuovi progetti e collaborazioni.
La sua elezione alla presidenza della Fondazione dell’università non è piaciuta a qualcuno, compresi alcuni rappresentanti del sindacato Cgil. Esiste un conflitto d’interessi?
«Ci tengo a precisare che la Fondazione può gestire i fondi per l’edilizia universitaria, ma non è detto che ciò avvenga: questo si può verificare solo se conviene, perché,attualmente, l’edilizia la sto già gestendo attraverso l’Università. Il vantaggio della Fondazione consiste nel fatto che se diamo 10 milioni alla Fondazione, la Fondazione, grazie al fatto che è un soggetto neutrale rispetto all’Iva, ci può dare un valore di 11 milioni. Quindi, se c’è la necessità di avere maggiori risorse, passeremo la palla alla Fondazione, altrimenti lo eviteremo, nel momento in cui il quadro economico dovesse consentirlo. Queste sono polemiche sul niente, alcuni dirigenti si muovono come dei torelli: vedono rosso e partono all’attacco».
Quindi, lei ci sta dicendo che non esiste un conflitto d’interessi?
«Non è una cosa che sta in piedi, perché io non ho interessi personali. La Fondazione è come un dipartimento esecutivo dell’Università: utilizza già i fondi dell’Università,che già gestisce il rettore, i qualivengono trasferiti dal Consiglio di Amministrazione alla Fondazione, con dei mandati ben precisi che la Fondazione deve realizzare. Il Collegio dei revisori potrà essere lo stesso e i consiglieri sono tutte persone di riferimento dell’Università, che devono semplicemente curare una semplificazione e uno snellimento delle procedure burocratiche che oggi legano troppo le nostre azioni. Non ci sono risorse che vengono dall’esterno (indipendenti): tutto avviene all’interno. Si tratta, semplicemente, di un braccio dell’Università che agisce con procedure più snelle: la trasparenza è totale».
Visto che il voto è andato al rettore, scaduto il mandato, decadrà anche dalla carica di presidente della Fondazione?
«Il gestore di una Fondazione di servizio all’università non può che essere il rettore dell’università: questo mandato durerà per il tempo in cui sono rettore, non sarebbe logico continuare a restare lì, se le risorse provengono dal Consiglio di Amministrazione dell’Uni-Salento. È giusto che il rettore che verrà dopo di me si preoccupi di gestire anche le risorse della Fondazione. Tutta questa polemica, quindi, è mirata solo a togliere di mezzo me: un rettore che sta ammodernando l’università e che cerca di creare occasioni di sviluppo. Le operazioni che faccio a qualcuno non vanno bene, perché gli impediscono di curare il suo orticello, le sue cose e i suoi privilegi».
Anche nell’Università, come nella politica, ci sono le «correnti contrapposte» e le dure lotte intestine.
«In tutti i settori si ripetono queste dinamiche: ci sono persone che pensano ai fatti loro e persone con un maggior senso delle istituzioni. È vero che alcuni sindacalisti fanno la guerra dal primo momento e giudicano ogni cosa negativamente, ma questa università ha fatto dei passi da gigante: ha dei fondamentali buoni. Vorrei ricordare che siamo una delle poche università in Italia con i conti a posto. Una delle quindici con risultati brillanti e conti in regola: ho dovuto fare dei grandi sforzi per questo. Il mio programma elettorale l’ho realizzato tutto. Ora mancano ancora due cose: il miglioramento della qualità della didattica e la fase di internazionalizzazione che porti a vedere l’Università del Salento come il luogo ideale per andare a studiare, ma da tutto il mondo! A chi non conosce l’inglese e vuole starsene qui, chiuso, questa cosa può non piacere, ma il futuro è questo».
Per l’università leccese, vista la penuria di fondi, è in programma un nuovo ‘piano di riordino’, tipo quello sanitario, con nuovi tagli di facoltà?
«Lo abbiamo già fatto: abbiamo già ristrutturato quello che c’era da ristrutturare e siamo passati da dieci facoltà a sei. Le facoltà sono state unificate, poi avevamo 17 dipartimenti e ora ne abbiamo 8: una razionalizzazione pesante che ha creato non poche perplessità. Abbiamo rifatto tutto: avviato il Consiglio di Amministrazione, il Senato Accademico. Siamo già pronti per ripartire, al contrario di buona parte delle università italiane, abbiamo già superato la fase di transizione. I detrattori insinuano che io voglia mettere le mani sui fondi per l’edilizia, ma cosa dovrei fare? I fondi li gestisco già, ma seguendo tutte le procedure di trasparenza».
Come si migliora la didattica se le nuove leve non trovano spazio, per mancanza di fondi, e non potranno diventare professori ordinari?
«È unproblema nazionale, la Gelmini ha avviato un processo di ‘inviluppo’ delle nostre università, che non possono rinnovare organici, anche quando perdiamo professori. Mentre quello che ci avanza degli stipendi risparmiati, metà finisce nelle casse del ministero delle Finanze e metà resta a noi: con quelle cifre possiamo solo pagare i debiti».
Qual è la soluzione, allora?
«In altre parti d’Italia le Regioni stanno entrando in campo e stanno aiutando le università con accordi convenzionali. Provincia, Regione e Comune si possono muovere finanziando, per 15 anni, nuovi posti di lavoro in università: dopo 15 anni sarebbero a carico nostro. Tutti possono partecipare, anche le Camere di commercio, chi ha dei soldi e vuole creare nuovi posti di lavoro può partecipare. Noi abbiamo speso i fondi dei progetti di ricerca per favorire il ricambio generazionale, per assumere giovani ricercatori».
Il ricambio si può favorire mandando in pensione i professori più anziani?
«Il pensionamento si può fare dove c’è eccesso di numeri: ad esempio, nel personale tecnico amministrativo. Però, disgraziatamente, se ne vanno i migliori, che hanno altre occasioni. Per quanto riguarda i professori, ne abbiamo già persi tantissimi: siamo passati da 750 a 671, tra l’altro abbiamo perso docenti esperti e preparatissimi: questo ci penalizza sul piano dell’offerta formativa».
Quale sarà il futuro della nostra università, se le casse sono sempre vuote?
«Il futuro è buio: abbiamo solo i soldi per pagare gli stipendi. I costi dell’università sono pagati direttamente con la retta universitaria: manutenzione, energia elettrica, luce, pulizie e guardiania. Lo stato ci ha tolto 12 milioni. Se continua così possiamo solo implodere».
Quale futuro possono dare alcune facoltà che avete scelto di conservare, definite deboli perché chi ne esce non trova facilmente lavoro, come Scienze della Comunicazione o Psicologia?
«È chiaro che non tutti i nostri laureati possono trovare impiego sul nostro territorio, ma siamo in grado di fornire laureati che possono competere a livello internazionale. Il problema è che ne abbiamo molti bravi, ma devono confrontarsi all’estero, dopo la laurea. Psicologia è professionalizzante, ma resta il problema di fondo: se non si è disposti ad andare all’estero, si rischia di rimanere senza lavoro. Noi facciamo buoni laureati che devono essere disposti a muoversi».
Lei in che modo sta cercando di costruire una rete per collegarci con il resto del mondo?
«Voglio costruire una rete in cui Lecce deve diventare un perno, un punto di riferimento. Non a caso sono presidente dell’Unione delle Università del Mediterraneo: per sviluppare una rete in cui c’è il Politecnico di Torino, la Sorbona, l’Università di Madrid e tutte le grandi università della riva sud. Creeremo scambi di docenti, di progetti edi studenti. L’Università del Salento è una fornace di idee che stiamo sviluppando».
Il rapporto con le nostre imprese e con le istituzioni è buono?
«Con gli enti locali la situazione è tranquilla: abbiamo avuto problemi con la Provincia, ma spero che tutto si sistemi. Con le aziende stiamo attraversando una fase difficile per via della crisi. Chi ha investito sull’innovazione e sull’Università, però, oggi si trova bene e resiste alla crisi, mentre gli altri sono in seria difficoltà».
Dopo il caso Limone, come restituiràcredibilità all’Università del salento?
«Garantiremo trasparenza: il nuovo Statuto impedisce situazioni strane. Abbiamo rimesso su, dal punto di vista etico, l’Università. Chi verrà dopo di me, troverà un sistema trasparente e blindato».
Gaetano GORGONI