È stata inaugurata nel primo pomeriggio di domenica 1 luglio e nel cuore di Ivrea, alle porte di Torino, presso la prestigiosa Galleria “Spazio Aperto 107” in via Arduino, la collettiva “Confinidarte, il Salento giunge a Ivrea” che rimarrà aperta al pubblico fino al 9 luglio 2012.
La rassegna, organizzata e curata da “L’Officina delle Parole” di Lecce di Pompea Vergaro, direttore editoriale, e Elisabetta Opasich, coordinatrice editoriale, va riscuotendo, fin dai primi giorni, significativi consensi di pubblico e notevoli sono gli apprezzamenti da esperti del settore per gli artisti salentini, dai giovani: Anna Lisa De Marianis, Grazia Maria Peluso, presente all’inaugurazione, e Alessandra Sessa, agli affermati nel mondo dell’Arte: Fernando Gigante, Flaviana Pagliara e Vincenzo Panzera.
L’esposizione è un Progetto culturale dedicato ai “Confini”, all’incontro di due realtà che segnano “due luoghi fisicamente lontani che magicamente l’Arte ha il privilegio di riunire”, come ha spiegato Elisabetta Opasich aprendo la Rassegna: “sud e nord: Salento e Ivrea, tra opere pittoriche e sculture che ancora una volta, l’arte, che ha radici sociali profonde, riesce a superare i confini che l’uomo segna sulla carta per vivere atmosfere e respiri ineguagliabili, perché l’opera d’arte non conosce confini né popoli, bensì l’umanità!”.
Prima di iniziare un “percorso sentimentale tra le opere in esposizione”, partendo dalla Sala bianca dell’accogliente Galleria, che si affaccia su un suggestivo centro storico di Ivrea, Elisabetta Opasich, ha reso omaggio a Ivrea e al Salento sui versi di Giosuè Carducci e di Vittorio Bodini.
Ed ecco che il pubblico è stato coinvolto immediatamente nel “viaggio”.
«“Confinidarte” – ha esordito il critico d’arte Pompea Vergaro – è un viaggio nell’arte contemporanea segnato da passi contemporanei di sei artisti che sono giunti a Ivrea dal Salento con esperienze differenti, ognuno con un proprio segno e spiccata personalità, con entusiasmo e fiducia ed è questo che “l’Officina delle Parole” intende restituire: entusiasmo e fiducia».
A “tenere il passo” due giovani artiste selezionate nella II Biennale Internazionale di Arte Moderna e Contemporanea “Città di Lecce”, che si è svolta a Lecce nel mese di maggio 2012 presso il Castello Carlo V di Lecce, organizzata dalla Galleria d’Arte Stomeo di Martano (LE): Anna Lisa De Marianis e Alessandra Sessa. Ne riportiamo i tratti critici con i relativi “ritratti critici” a cura di Pompea Vergaro.
Anna Lisa De Marianis vive e opera a Martano (LE). L’essenza del suo fare artistico si dipana tra sogno e realtà: due luoghi differenti, ma inscindibili per raggiungere l’Arte. La giovane artista alla II Biennale ha ottenuto una borsa di studio. La sua grande passione per le arti figurative l’ha portata a diplomarsi presso l’Istituto d’Arte, per poi iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Lecce.
«Anna Lisa De Marianis indaga l’idea di armonia tra sogno e realtà scavando delicatamente nei meandri più profondi della femminilità. I gesti pittorici sono fluttuanti racchiusi in atmosfere oniriche che riconducono al grembo materno. Ella cerca e sceglie nell’alfabeto del colore prediligendo il blu in tutte le sue sfumature che il pennello conduce abilmente sulla tavola immergendosi in un mondo acquatico dove regna il silenzio e la spiritualità; sono luoghi cui confidare per giungere a “Immergée”: sulla tavola tutto si scompone, nulla è duraturo e lo confermano le piccole perle, come grani di un rosario, che si sganciano dalla catenina, alla quale è appeso un piccolo crocifisso, che pende dal collo di una giovane che fluttua nell’acqua per disperdersi fatalmente nell’acqua. E in “Songe aquatique” e “Racines d’un songe…” emerge una femminilità accurata, ma poco reale, perché profonda, perché, in fondo, è questo l’anelito dell’artista: ricondurre quel mondo perfetto nella quotidianità. Ella chiede silenzio per immergersi nell’Arte per vivere in punta di piedi i propri sogni».
Vi è un percorso, nella sala bianca della Galleria, che riguarda i cuori: quelli di Anna Lisa De Marianis, «sono cuori dalle cromie ora tenui, ora sfavillanti e profonde, sono anche cuori solitari… Che esprimono le più intime passioni, emozioni e incertezze, in una ricerca non solo fisica, ma dell’anima».
Intanto ci spostiamo con il pubblico che è molto interessato, nella sala viola, dove sono allestite le opere di Alessandra Sessa, pittrice e scenografa, per la quale “è semplice intessere la tela quando fanno da guida i propri sogni”.
«La pittura di Alessandra Sessa trova grande spazialità all’interno di cromie e segni che si intrecciano tra vita reale e onirica. A volte, con una propria personalità, altre, tra indugi e riflessioni, ma con un percorso ben strutturato: ella prima sogna, poi dipinge. Così l’arte diviene la sua “pelle surreale” quotidiana, archiviando sogni e nostalgie. In “Spazi Mentali”, nero, e “Spazi Mentali”, viola, le tele propongono alberi nella loro nuda essenza dove la sua anima si adagia e ama sostare.
Sulla tela solo il vento fa la comparsa lasciando le sue tracce, sfrondando qualche incertezza e mostrando una sorta di vitalità. Gli alberi nei paesaggi, olii su tela, sono inesorabilmente neri e spogli, apparentemente privi di vita, soli, che forse non vedranno più la luce. Alcuna presenza umana disturba questi luoghi come anche ne “I Colori del Sogno”, “Alba Viola” e “Ascesi”, dove le cromie non riescono ad abbandonare i colori della notte. Ma un chiarore fa comunque da sfondo e alcune sagome di uccelli appollaiati sui rami ci dicono che tutto sommato la vita non è poi così “nera”. Anche perché l’albero è simbolo di conoscenza.
Quando è con la sua Arte, la giovane artista è pronta ad affrontare il mondo reale, nonostante lo senta ancora così sconosciuto e inesplorato».
Tra le giovani artiste, le tele della paesaggista Grazia Maria Peluso si impongono all’occhio dello spettatore nella sala bianca, dove vi facciamo ritorno.
“Nelle opere la natura e l’artista si catturano a vicenda: ma chi lo fa per primo?” questa è l’essenza del suo fare artistico. Ella è giunta a Ivrea da Leverano (LE) dove vive e opera. La commuove un cielo limpido, un campo ricco di fiori o una stradina di campagna che si perde in lontananza tra gli alberi. Vive a stretto contatto con un ambiente campagnolo: ascolta la natura, la osserva e poi pennello e colori fanno la loro parte. «I colori sono prorompenti, perché narra quel Salento abbagliato dalla luce, ma non solo, nelle tele emerge una luce che l’artista, inarrestabile e positiva, possiede dentro di sé e che vorrebbe donare a noi spettatori. Ella narra i sentimenti semplici, quotidiani non privi di difficoltà anche se tutto sommato la vita è semplice».
Quale è il suo segreto?: «respirare i ritmi della natura e questa lo farà altrettanto con noi. Una natura dove non vi è presenza umana, ma la si vive come in “Sentimenti antichi”: da qui qualcuno da tempo è andato via e quel che rimane è un camino spento, una finestra socchiusa, dei paioli e pareti scrostate.
L’artista è seduta o in piedi accanto al suoi scorci come “La Poesia” o “Tramonto” altre volte ci invita a immergersi, insieme a lei, in un suggestivo e dinamico “ bosco autunnale”. L’ artista non abbandona mai le sue opere e lo spettatore riesce a intuirne la presenza. Ella ama sostare e ci invita a fare altrettanto: segnando il presente e sognando il futuro».
Continuando il viaggio nella sala bianca della Galleria incontriamo le opere degli artisti già affermati come lo scultore Fernando Gigante, “l’artista del silenzio: quando è facile fermare l’impercettibile”. Egli vive e opera Cavallino (LE). Utilizza per le sue sculture terracotta e polvere di bronzo e bronzo patinato.
«È l’artista del silenzio, perché le sue opere infondono un senso profondo di sospensione e quanta fatica prima che le mani diano vita all’opera d’arte!»
Lo scultore è un “acrobata del linguaggio”, egli ha raggiunto una maturità espressiva e un cosciente possesso dello spazio. Con “Scorie 1” la scultura in terracotta, è rappresentata una figura umana in bilico, slanciata in avanti che trova la propria essenza nella sua stessa ombra. Nel dittico “Scorie 2” e “Scorie 3”, due monocromi in bianco e nero continua la sua ricerca fatta nel silenzio. La scultura alberga nell’ essenza più profonda di Fernando Gigante il quale ne vive i respiri, le fatiche e le gioie, “perché scolpire è plasmare e trasformare la materia per infondergli pulsazioni vitali”.
Continuando il percorso, sostiamo, con tutto il pubblico presente, accanto ai paesaggi di Vincenzo Panzera. “La natura attraversa lo sguardo dell’artista e scorre come in fotogrammi cinematografici”. Vincenzo Panzera vive ed opera a Lecce. Autodidatta, dipinge da sempre. Ora, in pensione, si dedica pienamente e abilmente alla spatola su tela prediligendo i paesaggi.
“Datemi colori e tele” – afferma. E da qui comincia e finisce il mondo artistico di Vincenzo Panzera, il suo viaggio intimo con l’arte, poiché egli sul paesaggio ha proiettato il senso della vita.
«L’artista – spiega Pompea Vergaro – comincia a usare la spatola sulla tela partendo sempre dal cielo per poi giungere sulla terra e regalarci paesaggi reali e onirici dove immergersi e sostare… La sua spatola possiede un gesto sicuro e rassicurante. Cattura l’invisibile per restituirci il visibile in segni pittorici impressionisti. I luoghi che narra non sono dei luoghi precisi del Salento, ma sono gli alberi, i cieli, le sponde, le case, i respiri del Salento come in “Attesa”, “ Il vento dal mare” o “Sponde”. E soprattutto è la luce di questa terra, non quella abbagliante, ma quella morbida e quasi aurorale che invita lo spettatore a sostare e meditare! Ovviamente i paesaggi vivono in luminosità nitide, in cromie dove predominano i blu in tutte le sue nouances. Un invito costante a un ritorno alla natura perché è qui che risiede la salvezza!»
Il viaggio sentimentale si conclude, sempre nella sala bianca, con Flaviana Pagliara, scultrice e pittrice. Per lei “la verità di una essenza sta nel modo di sentirla e di tradurla sapientemente”.
Flaviana Pagliara nasce a San Vito dei Normanni (BR), dove vive e opera. Tutta la vita dedicata all’arte: il disegno è stato suo compagno fin da giovanissima. Poi l’incontro col maestro Gabriele Jagnocco e della sua scuola dove si diploma sperimentando l’arte della scultura. L’esperienza acquisita lungo il suo precorso artistico le permettono di possedere un segno del tutto personale e riconoscibile.
L’artista posa lo sguardo non solo sulla forma, ma soprattutto sui ritmi più intimi dell’animo, coniugando sentimento religioso e vita, realismo plastico e trascendenza, utilizza resina ecologica per le sue sculture: “Maieutica”, una trasformazione figurativa, un bassorilievo, per narrare poeticamente la trasformazione e la crescita!
“Angeli”: «una scultura dinamica e originale che si propone in equilibri spaziali che denotano un cosciente possesso dello spazio, pronti a spiccare il volo su un’ala d’angelo. “Rinascita”, simbolo di profonda trasformazione scaturita da dolorose esperienze che l’artista affronta in voluttuose e morbide movenze, sempre con delicatezza e raffinatezza, dalla quale riesce a catturare l’impercettibile».
Accanto alle sculture – come ha suggerito il critico d’arte Pompea Vergaro – i pastelli dell’artista dichiarano una trepida complicità tra invisibile e realtà.
In “Minerva”, la divinità romana della guerra, della saggezza, protettrice degli artigiani che governava la guerra e le attività intellettuali, ella narra il mito e la vita legati indissolubilmente. “Dalle sue opere emergono linee morbide anche quando narra una esistenza non morbida, ma dura e tragica”.
Anche il sogno è un tema ricorrente come “In sogno di pace”. In fondo senza sogni non si può progettare, come dice la stessa artista. È con l’Arte che Flaviana Pagliara, interrogandosi ora timidamente e con delicatezza, ora con forza, prova a perfezionare la vita.
Si conclude il percorso tra le opere in rassegna e alla fine del viaggio abbiamo constatato che gli artisti sono consapevoli che la strada dell’arte è lunga e tortuosa; ma si sa anche che l’arte ci salverà, lo si grida da più parti e da tempo, ormai.
Per questo la collettiva è un momento per superare i confini che l’uomo segna sulla carta per vivere atmosfere e nuovi respiri. “Perché l’opera d’arte non conosce confini, né popoli, bensì l’umanità” – ha affermato Pompea Vergaro. Perché… Sulle parole di Margherita Hack, “siamo fatti della stessa sostanza di cui son fatte le stelle”.
Il vernissage è terminato con un canto a cappella di Elisabetta Opasich, tra l’entusiasmo dei presenti.
di Pamela Pinto