L’avvocato Fabrizio Marra, dopo aver lasciato la segreteria cittadina, continua a bacchettare i vertici del Pd: vuole che tutti si assumano le proprie responsabilità. Dopo le fatiche elettorali e professionali, l’ex segretario cittadino del Pd, rifiata in riva al mare di Porto Cesareo, con la famiglia, ma non perde occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa
Avvocato, non è stato molto tenero con il suo partito: in un primo comunicato ha addirittura detto che il Pd leccese è «clinicamente morto», poi ha rettificato, ma, in sostanza, è quello che pensa, vero?
«Quel comunicato è stato sostituito da un altro, perché erano affermazioni fatte a caldo, quando ancora la nuova segreteria Capone non era stata varata. Io apprendo dagli organi di stampa che nel mese di agosto gli iscritti al Pd di Lecce sono solo 14: mi sembra un risultato, nonostante la campagna pubblicitaria per il tesseramento, abbastanza preoccupante. C’è stata una polemica stucchevole sul partito delle tessere, ma io voglio sottolineare che al ‘partito delle tessere’ rischia di subentrare un ‘non-partito’. Il Partito Democratico, che ha il 10,5 per cento in città, ed è il migliore risultato della provincia dopo Galatina, passa da centinaia di tesserati a uno scarso risultato: oggi, all’apertura del tesseramento, ne abbiamo solo 14!».
Insomma, meglio il vecchio, caro partito delle tessere.
«Quello non era il partito delle tessere, ma il partito dei tesserati che, ovviamente, venivano sollecitati a essere tali da coloro i quali si candidavano e prendevano i voti: c’era una sinergia e un filo conduttore che spingeva la gente a iscriversi al partito. Non bisogna vederla come hanno fatto intendere, cioè che ogni candidato portava il suo pacchetto di tessere: c’erano i consiglieri comunali e circoscrizionali che prendevano i voti e che spingevano i propri elettori a tesserarsi. Oggi, siccome c’è un gruppo consiliare abbastanza in polemica con la segreteria e con la scelta verticistica del commissariamento cittadino, calata dall’alto, dalla premiata ditta Blasi-Capone, le tessere non arrivano».
Anche per lei, dunque, la colpa è di Capone e Blasi?
«Le scelte fatte hanno portato il partito salentino a essere uno dei peggiori in Italia. Abbiamo la fortuna di avere un segretario regionale del Pd salentino, che è stato determinante e artefice delle scelte che si sono avute sulla città di Lecce, perché era un segretario che veniva dalla provincia di Lecce ed era giusto che lui intervenisse, ma tutte le sue scelte si sono rivelate sbagliate, compresa la pantomima del sondaggio messo fuori durante le elezioni leccesi. Si è anche accanito sulle primarie, quando a Brindisi e a Taranto non le abbiamo fatte, quindi, dopo non averne indovinata una, è sparito».
Quindi, il suo responso sulle segreterie, provinciale e regionale, è simile a quello di Zacheo: sono troppo deboli?
«Se guardiamo alla nuova segreteria di Capone, ci sono tante riconferme e poche novità, ma non è un problema con Rampino o con Capone: si tratta di essere onesti. Chi ha sbagliato le sue scelte avrebbe dovuto fare un passo indietro: io non chiedo la testa di nessuno, ma avrei preferito un atteggiamento diverso. Un segretario che sbaglia anche nell’analisi, subito dopo il voto, affermando che il Pd è andato bene, quando invece siamo di fronte a un partito fortemente ridimensionato nei numeri, avrebbe dovuto agire diversamente. Il dibattito si era aperto, Zacheo ha formalizzato una mozione di sfiducia: si è trattato di un dibattito costruttivo per chiedere un cambio di passo, ma il segretario provinciale ha preferito fare fuori tutti, mentre lui è rimasto al suo posto. Capone avrebbe dovuto rimettere il mandato all’Assemblea e questa avrebbe potuto investirlo nuovamente: sarebbe stato un passaggio non solo formale, ma politico. In altre parole, avrebbe significato, per Capone, farsi carico delle sue responsabilità, senza scaricarle sul resto della segreteria che ha azzerato».
La «vecchia guardia», compresi Zacheo e Frisullo, sostiene che Blasi e Capone si sono tenuti stretta la segreteria per garantirsi la successione a Vendola, nel primo caso, e un posto in Parlamento o in Regione nel caso del segretario provinciale. Zacheo afferma che Blasi ed Emiliano litigano solo per la successione a Vendola. Si tratta solo di illazioni?
«Non sono nella testa di Capone o di Sergio Blasi: quando ero nella segreteria cittadina ho cercato di dare dei consigli, ma nessuno mi ha ascoltato. È vero, però, che queste ricostruzioni, sulle aspirazioni dei due segretari, sono verosimili. Per le regionali ci sono ancora tre anni di mandato».
Sì, ma Vendola potrebbe anche lasciare prima. Inoltre, in questo momento, il governatore non se la passa molto bene nemmeno con la magistratura.
«Credo che stia attraversando uno dei momenti più difficili della sua carriera politica, ma non dobbiamo dimenticare che, se facciamo un bilancio, ci sono molte più luci che ombre: si pensi a quello che è stato fatto per l’imprenditoria giovanile».
Da ‘lettiano doc’ non è felice per la svolta centrista di Bersani, che mette fuori Di Pietro e flirta con l’Udc?
«L’Italia ha bisogno di ragionare sulle cose da fare, senza estremisti. Io sono stato uno dei fondatori del Partito Democratico, che include anche l’area lettiana».
Ora che non è più segretario quale sarà il suo futuro politico? Si candiderà al Parlamento?
«Sono sempre un membro del Pd. Con la mia squadra farò le scelte opportune: sono a disposizione per eventuali candidature, come ho sempre fatto, anche alle provinciali, dove sono stato candidato all’ultimo momento e ho ottenuto un buon risultato».
Alberto Capraro