“Se non ricordiamo non possiamo comprendere”. (Edward Morgan Forster).
C’era una volta una città incantata, piena di riccioli che incorniciavano le facciate di eleganti palazzi dove il verde degli alberi e l’azzurro del cielo giocavano in armonia creando quadri fantastici dai colori mai visti.
Le risate dei bambini si fondevano alle voci vissute degli anziani che nei loro racconti facevano rivivere antichi splendori e c’erano poi gli uomini d’affari che sorseggiando un caffè in ghiaccio accompagnato da deliziosi pasticcini discutevano animatamente dei loro ultimi successi, lì dove la piazza di Lecce era animata dagli avventori del Palazzo dei Mercanti, impegnati nelle loro trattazioni. Su tutti vigilava il Santo Patrono che, testimone, custode dei segreti e di storie affascinanti, con le sue dita aperte, benediva quanti affollavano l’agorà salentina.
La piazza costituiva il ritrovo abituale degli “umili”, dove si parlava e sparlava di tutto e tutti, ingannando il tempo piacevolmente: in poche parole le cronache, “il gossip” come si direbbe oggi, della città trovavano la conferma ufficiale proprio in questo luogo, diffondendosi rapidamente tra piccoli, giovani ed anziani.
Le cronache della città trovavano la loro versione ufficiale, ed i redattori dell’innocuo pettegolezzo quotidiano affidavano alle rapidissime rotative degli avventori la diffusione delle ultime notizie.
Cogliere la ricchezza e grandiosità del tempo andato consente di far percepire appieno come l’onda viva del passato giunge in realtà fino ad investire il nostro tempo presente e forse sono così vivamente attaccata ai ricordi che custodisco gelosamente dentro di me, come in un prezioso scrigno, perché sono l’unica cosa che di sicuro nessuno potrà mai togliermi, assolutamente!
Ricordo, proprio come se fosse ieri, tutti i volti di coloro che hanno popolato la mia adorata città ed a me particolarmente cari, che rivivono attraverso la memoria storica di quanti mi hanno preceduta e sicuramente avranno strappato almeno un sorriso a quanti come me, saranno stati piacevolmente sorpresi nel “fotografarne” gli aspetti peculiari in qualche angolo di Piazza Sant’Oronzo e dintorni.
“Amarcord” o c’era una volta… direbbe qualcuno di voi, ma sebbene oggi viviamo in un ambiente profondamente ed irrimediabilmente diverso per usi e costumi da quello di un tempo, logorati dai ritmi sempre più stressanti che la vita c’impone ed il loro essere “sopra le righe” per stravaganza e genuinità attualmente non farebbe certamente più notizia, un irrefrenabile richiamo, mi ha sussurrato dolcemente… “Va’ dove ti porta il cuore”.
L’umanità della gente del sud, con il suo carico di figure emblematiche del passato, è tuttora presente in me così vivo e ricco di significato ed il mio messaggio di nostalgia e malinconia misto ad affetto e simpatia che li accomuna, è immortale… i ricordi del cuore non muoiono mai!
Sì, proprio così, a volte basta un semplice accenno al tempo che trascorre inesorabilmente per far ritornare alla mente un piacevole o triste ricordo lontano; il più delle volte piacevole (i ricordi tristi è meglio dimenticarli!) perché ti riporta indietro nel tempo facendoti rivivere, come per incanto, un periodo della vita spensierato, allegro e ricco di progetti per il futuro.
Ma noi come eravamo? Sicuramente meno distratti e più lontani dal mondo che ci circondava, senza tutta questa tecnologia (facebook, twitter, telefoni palmari e tanto altro ancora), applicata alla vita quotidiana, lì dove il nostro mondo si limitava al veglione del lunedì di carnevale organizzato dal Circolo Cittadino, o quello della stampa al Teatro Ariston, alle gite scolastiche che avevano come meta il Salento. Ma in fondo, siamo ciò che siamo stati!
La vita è un biglietto per il più grande spettacolo al mondo, un immenso palcoscenico dove ognuno di noi deve fare la propria parte, quella originale, d’autore e con un pizzico di sana follia, lì dove senza di essa l’esistenza di ognuno di noi sarebbe una noia mortale… evviva la follia ed i folli, gli spiriti puri e liberi per antonomasia!