Leggendo i romanzi di Italo Svevo si ha subito la sensazione di trovarsi di fronte ad una realtà familiare, palpabile, non lontana dai piccoli gesti che ricalchiamo di continuo nella quotidianità, il mondo descritto è costellato di sentimenti semplici ma travolgenti, c’è la passione amorosa, la felicità, lo struggimento interiore, la consapevole rinuncia allo stile di vita del potente e tutta una serie di immagini tanto prossime a noi perché tanto più vicine alla vita dell’autore.
Italo Svevo non si considerò mai un vero professionista della scrittura, i genitori avevano sognato per lui un futuro nel mondo del commercio che gli avrebbe garantito un buon guadagno ed una posizione stabile, ma il giovane triestino, fin dai primi anni all’Istituto Tecnico Commerciale sapeva “ch’egli per il commercio non era nato” la naturale vocazione di Ettore Schmitz (questo il suo vero nome) era la letteratura. I suoi interessi si svilupparono molto presto e condussero Svevo ad approfondire il teatro di Shakespeare, le letture dei grandi naturalisti francesi tra i quali Balzac, Flaubert e Zola, le dottrine filosofiche di Darwin, Schopenhauer e Freud e grazie all’amicizia illuminante con James Joyce, il triestino fu incoraggiato a scrivere e a farsi strada nel mondo letterario europeo. Tuttavia, l’esperienza esistenziale di Svevo fu caratterizzata dall’ estenuante tentativo di conciliare la vocazione per la scrittura con l’esigenza di assicurarsi una buona posizione nel mondo degli affari. Ettore Schmitz era un impiegato di banca, continuamente soggetto alle convenzioni borghesi, alla dinamica servo-padrone e al costante desiderio di mollare tutto per intraprendere il mestiere di scrittore. Dopo il matrimonio con Livia Veneziani e l’assunzione nella ditta del suocero, fu costretto a rinunciare alla letteratura per ben venticinque anni, una rinuncia non effettiva (Svevo infatti scriverà clandestinamente il suo diario personale) ma decisiva per l’elaborazione del suo grande capolavoro La coscienza di Zeno, che non a caso verrà pubblicato dopo la morte del suocero. Diventa, dunque, inevitabile stabilire un confronto tra il romanzo scritto e il romanzo vissuto. Italo Svevo ci propone una galleria di volti tipizzati, in cui i protagonisti sono sognatori che contemplano il mondo esterno o inetti che rinunciano all’azione per “lasciarsi vivere” sono giovani affetti da senilità, pazienti psicanalizzati che ritengono di esser sani e il resto dei personaggi è costituito da anime deboli che trovano rifugio nei libri o da antagonisti lottatori che possiedono ogni caratteristica dell’uomo vincente. Ognuno di loro conserva e amplifica le caratteristiche delle figure realmente presenti nella vita dell’impiegato Ettore Schmitz: il padre e il suocero si riflettono nelle figure autoritarie di Malfenti e Maller, il rapporto inconciliabile tra Svevo e la moglie ricalca quello tra Emilio e Angiolina, la nostalgia per il passato anticonvenzionale e antiborghese dell’autore, trova espressione nel desiderio di Alfonso di ricongiungersi alla madre, che rappresenta appunto le sue radici. Eppure, scorrendo le storie narrate da Svevo ci accorgiamo che la protagonista indiscussa del suo universo è la Letteratura. Quest’ultima infatti è fin dal primissimo romanzo, Una vita, la burattinaia che manovra le effimere vite dei personaggi è lei che intesse l’intreccio e rende vera la finzione letteraria. Le singole vicende sono piccoli microcosmi incasellati ad arte in una cornice più grande e complessa, in cui il lettore scorge la sottile trama che, oscillando tra il romanzo scritto e il romanzo vissuto, rivela la componente autobiografica di tutta l’opera: Alfonso Nitti così come Svevo è un impiegato di banca e subisce il peso del dislivello sociale, Emilio Brentani, alla stregua del suo autore, vuole scrivere un capolavoro letterario ma rimanda ad un futuro lontano l’occasione per realizzarsi, Zeno Cosini ha il vizio ossessivo del fumo così simile alla malattia letteraria di Ettore Schmitz e anche se in modo diverso, ognuno dei suoi personaggi deve confrontarsi con un profondo divario interiore che ha a che fare con la letteratura; essa diviene un mezzo di lotta per la conquista della donna amata, rifugio in cui cercare serenità, strumento di analisi per l’autocoscienza e addirittura mezzo per riscrivere una vita intera, correggendo gli errori più gravi. Possiamo dunque affermare che Alfonso Nitti, Emilio Brentani e Zeno Cosini sono fratelli di sangue e che le loro vicissitudini, tracciando un percorso evolutivo dall’inettitudine alla guarigione, conducono Italo Svevo a comporre i tratti del suo ultimo grande personaggio: sé stesso.
Fonti bibliografiche: Beatrice Stasi, Svevo, il Mulino, 2012