“Mi assumo le mie colpe. Sono un affiliato della Scu da vent’anni, ma mia moglie con la mafia non c’entra.” Lo ha detto in aula Roberto Nisi, 60 anni, leccese, uno dei presunti promotori dell’organizzazione criminale colpita con l’operazione “Cinemastore”.
“Mia moglie ha solo fatto quello che le chiedevo io, per amore.” Poi ha ridimensionato anche il ruolo del fratello: “Giuseppe non ha fatto tutto quello che dite voi”.
Dopo le dichiarazioni spontanee del presunto boss, in aula, nel corso dell’udienza preliminare che si sta svolgendo davanti al giudice Carlo Cazzella, è stata sottoposta ad interrogatorio la moglie Carmela Merlo.“Non posso negare di aver fatto alcune cose. Ho fatto tutto ciò che mi ha chiesto mio marito. Non sono una stupida: sapevo di commettere degli errori, ma non pensavo che fossero così gravi. Io non sono una mafiosa”- ha detto la donna. Poi ha aggiunto: “Da alcuni mesi io e lui siamo anche separati”.
L’udienza preliminare proseguirà la settimana prossima, il 10 ottobre. Toccherà a Nisi in quella sede l’interrogatorio in aula, prima che il pm Guglielmo Cataldi proceda alla requisitoria.
Sono 62 gli imputati coinvolti nell’inchiesta condotta dagli agenti della Squadra mobile della Questura di Lecce, sotto la guida dei magistrati della Dda, che prende il nome dalla videoteca del quartiere “Santa Rosa” fatta saltare in aria tre anni fa. Il blitz, scattato all’alba del 24 gennaio scorso, assestò un duro colpo ai clan nati dalle ceneri della Scu, e operanti soprattutto a Lecce, con ramificazioni nel brindisino e nel Capo di Leuca, e rapporti di buon vicinato con gli altri gruppi egemoni del territorio, da Monteroni a Gallipoli. Associazione per delinquere di stampo mafioso, spaccio di droga, estorsione e gioco d’azzardo, sono le accuse principali contestate a vario titolo.