Succede sovente che nonostante i frutti del progresso, segno dei tempi moderni, l’uomo senta impellente la necessità di rituffarsi nel passato, ricorrendo alle antiche tradizioni, lì dove sembra riappropriarsi di quella umanità, oggi particolarmente contrastata e assillata
da varie problematiche che non risparmiano nessuno e conducono ognuno alla ricerca spasmodica di agganci a qualche certezza.
La tradizione, appunto, pare elargire spazi adatti in cui ritrovare piacevolmente se stessi ed alcuni importanti valori, spesso trascurati dalla mania di modernità dilagante. L’odierna situazione in cui siamo catapultati, non è certo delle più serene, motivo per cui ho desiderato ricordare quelle forme di comunicazione in cui sentimento e fantasia, riportandoci ad una cultura semplice e ricca nel contenuto, si sono radicate in profondità raffigurando un aspetto della realtà culturale caratteristica di una volta.
Credo fortemente di deliziare grandi e piccoli, riesumando i giochi ed i giocattoli creativi di un tempo ormai andato, richiamandoli alla mente con modi e strumenti intelligenti per la realizzazione, frutto d’intuìto ed arguzia, divertendosi con poco ma buono! Sì, proprio così, con strumenti semplici ricavati da materiali di risulta e mezzi occasionali, attingendo da “madre natura”.
“A tocca ferro”
Gioco all’aperto che si praticava in luoghi dove i materiali metallici potessero essere presenti. Il sorteggiato, inseguiva velocemente i suoi amici, intenti a toccare del metallo: colui che era stato catturato dall’inseguitore prima di aver toccato il metallo, doveva prenderne il posto continuando a giocare.
“La campana”
Era un gioco di società che si praticava all’aperto o in qualche giardino, dove occorrevano equilibrio, abilità e destrezza nei movimenti, agilità, attenzione, fantasia ed un gesso o una piccola pietra per disegnare “la campana”. Per terra si tracciavano delle caselle numerate ed ogni giocatore, seguendo scrupolosamente delle regole ben precise, doveva conquistare con piccoli saltelli su di un piede le caselle, senza mai toccare le linee delimitanti e solo l’uso delle mani era concesso per recuperare la pietra o “staccia”, altrimenti definita. Chi era bravo ad arrivare, superando le numerose caselle senza mai sbagliare, nella classica zona di riposo, ritornava a percorrere felicemente “la campana”, fino a riuscire a conquistare abilmente tutti i numeri delle caselle. Un gioco veramente divertente che si pratica ancora adesso!
“Il cerchione”
Non era altro che il cerchione della ruota di bicicletta, senza accessori che si faceva roteare con una spinta, fino a quando non si arrestava, cadendo, o lo si rincorreva a perdifiato, tentando e ritentando d’imprimergli delicate spinte tramite un’assicella di legno, per poi farlo proseguire dritto restando in piedi.
“La trottola”
Era un piccolo strumento di legno ben congegnato, a forma di trottola. Si giocava con una cordicella che si avvolgeva alla parte appuntita della stessa: tirando abilmente l’estremo capo della cordicella, l’oggetto girava e rigirava reggendosi in piedi. Un semplice oggetto, con cui il divertimento era assicurato!
“La rotella”
Era un giocattolo rumoroso realizzato con un cerchio di legno, bloccato al centro da un chiodo, ad un’asta lignea. Logicamente il chiodo non teneva ben fissi cerchio ed asta, la cosiddetta “rotella” che appunto, era mobile e permetteva di organizzare delle simpatiche corse spingendo l’asta. E dire che la conservo gelosamente ancora, tra i miei ricordi più cari d’infanzia, perché regalo di mio nonno!
Che dire? Giochi poveri, ma belli, lì dove “il bisogno aguzzava l’ingegno”, creativamente!