Tempi duri per Mps: non bastano gli scandali e i problemi di riorganizzazione, ora spunta anche una sentenza della Corte di Appello di Lecce, sezione civile presieduta dal dott. Marcello Dell’Anna, che dichiara la risoluzione di un contratto finanziario (chiamato My Way) rifilato a un salentino cinquantenne ignaro della eccessiva rischiosità dell’investimento. Una pronuncia che potrebbe diventare più pesante del previsto, perché potrebbe aprire la strada ad altri ricorrenti che si sono ritrovati in situazioni simili, anche con altre banche.
Un punto a favore dei consumatori che credono di sottoscrivere investimenti previdenziali sicuri e invece scoprono di essersi affidati a strumenti derivati vantaggiosi solo per le banche. Dopo questa vittoria in giudizio il salentino, difeso dall’avv. Fernando Greco, potrà chiedere a Mps il risarcimento del danno e la restituzione del capitale versato.
La storia comincia il 30 giugno del 2000, quando un signore con uno stipendio modesto(circa 1.300 euro) decide di sottoscrivere un piano di finanziamento denominato “My Way”, presentato dalla banca «come piano con versamenti mensili di accumulo delle somme versate con maturazione degli interessi». In realtà, il piano prevedeva la concessione di un mutuo di oltre 25 mila euro da parte della banca: così è accaduto che, dopo il pagamento complessivo di 43 rate (per un importo di circa 6.662 mila euro circa), della somma mutuata risultava essere stato restituito solo l’importo di circa 1.200 euro. Inoltre, il finanziamento sarebbe scaduto nel 2030, con il rischio che l’attore ottantenne non fosse più in vita. Ecco perché il risparmiatore in questione non ci ha pensato due volte e ha citato in giudizio la banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.
Insomma, come ha stabilito la Corte si trattava di un investimento rischioso, ma la banca si è difesa cercando di far passare il cliente per investitore di “alta esperienza” e definendo lo strumento ‘My Way’ «meno rischioso di altri e suscettibile di rendimento nel medio-lungo periodo in situazione favorevole di mercato». Non si trattava di un piano finanziario di accumulo previdenziale, ma di «un meccanismo eccessivamente oneroso e aleatorio per il risparmiatore»: la Corte ha dato atto alla difesa che il risparmiatore non ha ricevuto tutte quelle informazioni che potessero metterlo in condizioni di orientarsi nella scelta del prodotto finanziario in relazione alle sue personali caratteristiche.
Il contratto garantiva alla scadenza il rimborso di una somma nominale pari a 62 mila euro, ma considerata l’incidenza negativa della svalutazione monetaria, il giudice ha sottolineato che «non è possibile sostenere che l’investimento in obbligazioni assicuri di per sé al cliente il rimborso di una somma corrispondente in termini reali al costo globale del finanziamento». Insomma, un contratto rischioso per il risparmiatore, con un modesto guadagno in caso di condizioni favorevoli di mercato: più che un’operazione con connotazioni previdenziali, per la Corte si è trattato di un’operazione «caratterizzata da un’estrema aleatorietà e da un’assoluta incertezza in ordine all’entità degli utili».
«Di contro– è scritto nella motivazione della sentenza – il contratto è sicuramente vantaggioso per la banca che, oltre a percepire interessi sul finanziamento, è riuscita a collocare titoli dalla stessa negoziati (European Investiment Bank) o addirittura, come indicato nel contratto relativamente alla segnalazione del conflitto di interessi, emessi da una società (Spazio Finance SGR s.p.a.), collegata alla Banca del Salento da un rapporto di gruppo[…]. Non risulta alcuna attività positiva della banca volta a raffrontare le caratteristiche intrinseche dell’operazione, assolutamente aleatoria e rischiosa».
In altre parole, il risparmiatore in questione ha sottoscritto un investimento oneroso e insicuro (antieconomico nel caso di recesso anticipato) per chi non possa fare affidamento su di un reddito sicuro, tale da consentire il pagamento delle rate mensili senza apprezzabili sacrifici (il reddito del risparmiatore in questione non era assolutamente adeguato alla natura dell’investimento). Per la Corte, la banca non ha adempiuto agli obblighi informativi(«Mps non ha fornito le prove dell’adempimento degli oneri relativi all’informazione nello specifico dei rischi derivanti dall’investimento»): non ha rilievo probatorio la sottoscrizione del documento in cui il risparmiatore dichiara di aver avuto “adeguate informazioni sui rischi”, perché occorrono le specifiche indicazioni relative alla reale natura dei rischi e non informazioni generiche. Solo spiegando i rischi effettivi il risparmiatore può effettuare scelte consapevoli di investimento. La Corte conclude tranchant: «La scelta del risparmiatore non può dirsi consapevole e mediata e, dall’altro, il comportamento dell’intermediario diligente e professionale. Gli interessi dell’investitore non sono stati diligentemente curati, specie ove si consideri che la banca versava in situazione di conflitto di interesse, per cui i doveri di informazione e correttezza a suo carico erano particolarmente rigorosi».
Alberto Capraro