Dichiarazioni esplosive in aula bunker, nel corso del processo per l’omicidio di Salvatore Padovano. A renderle è stato il pentito (a cui non è mai stato riconosciuto lo status di collaboratore di giustizia) Giuseppe Barba, 42 anni di Gallipoli.
Il 42enne ha sostenuto che l’ex sindaco di Gallipoli, Flavio Fasano, tra il 2006 e il 2007, in quanto difensore di padovano, si fosse adoperato personalmente, arrivando a regalare una cassa di aragoste al sindaco di Spoleto, città in cui il boss si trovava in regime di semilibertà. “Tutto falso”, ha risposto la difesa di Fasano, rappresentata dagli avvocati Luigi e Roberto Rella. Padovano avrebbe ottenuto il lavoro, grazie alla condotta tenuta in carcere, presso una cooperativa che lavorava per la croce verde.
Inoltre il boss avrebbe chiesto nello stesso periodo a Barba di votare Fasano, che all’epoca, era candidato sindaco di Gallipoli contro l’onorevole Vincenzo Barba. Elemento in contrasto, come sottolineato dalla difesa di Fasano, con quanto sostenuto dall’imputato in precedenti processi.
Barba ha parlato anche di un omicidio rimasto irrisolto: l’esecuzione di Francois Greco, che risale ad oltre 20 anni fa. Gli esecutori materiali sarebbero stati: Salvatore Padovano, il cugino Francesco Padovano (mai coinvolto in fatti di cronaca fino ad oggi), insieme con due pregiudicati del posto: Luigi Gatto (un caso di lupara bianca che risale ad almeno 15 anni fa) e Michele Scarcella detto Michelaccio.
Sin dal 2007 Rosario Padovano avrebbe iniziato a pianificare l’omicidio del fratello. Motivo per cui avrebbe fatto svolgere un sopralluogo a Gallipoli da un gruppo di calabresi. Ma l’iniziale progetto andato in fumo in parte anche per l’opposizione dello stesso Barba, convinto del fatto che per ammazzare nino bomba sarebbero state necessarie più armi. “Niente può andare storto”, avrebbe detto al boss, “O muore lui, o ci fa fuori tutti”.
Queste le prime dichiarazioni di Barba, che proseguiranno nell’udienza che si terrà il 14 marzo prossimo.
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