L’opposizione di Palazzo Carafa incalza l’amministrazione Perrone. Salvemini torna a parlare di rischio dissesto e lo fa “dando i numeri”, come lui stesso spiega su facebook: “Abbiamo chiesto allo Stato, avvalendoci della previsione del decreto sblocca crediti, di poter accedere ad un’anticipazione di 43 milioni di euro per il pagamento di debiti certi liquidi esigibili. Abbiamo chiesto, quindi, un prestito sul quale pagheremo interessi. Per cosa servono tutti questi soldi? Circa 3 milioni per poter saldare fatture relative a cosiddetta spesa d’investimento (realizzazione opere pubbliche)”.
Il responsabile di lecce Bene Comune rivolge delle domande secche: Dove sono finiti questi soldi, acquisiti mediante finanziamenti, che avevano una destinazione vincolata? Il resto, circa 40 milioni di euro, per poter pagare fatture e impegni relativi alla spesa corrente o di funzionamento. Come mai quella che viene chiamata momentanea sofferenza finanziaria dell’ente, relativa al taglio di 5.800.000 di trasferimenti dello Stato, costringe il comune a chiedere un prestito d’importo circa 8 volte superiore?Il consigliere di opposizione si dà una risposta: in questi anni il Comune avrebbe utilizzato il doping contabile, iscrivendo in bilancio introiti che non sono entrati, ovvero 44 milioni di euro di somme in entrata relativi a ICI e TARSU (ordinaria e da evasione) che non si riescono a riscuotere e relative al periodo 2007-2012. “C’è una non casuale corrispondenza fra quanto chiedo a Roma in prestito perchè non ho liquidità e quanto indico in bilancio come somme che non ho ancora incassa. Il dissesto negli enti locali si dichiara quando esistono crediti di terzi ai quali non si riesce a fare fronte. 40 milioni di euro di crediti dei quali si dichiara l’esigibilità.
40 milioni di euro di fatture per i quali si chiedono soldi in prestito allo Stato.
to. “, spiega Salvemini. Insomma, il Comune di Lecce chiede soldi allo Stato per pagare i debiti che non riesce ad onorare.
Il capogruppo Udc, Luigi Melica, sempre in giornata, interviene sullo spreco di denaro pubblico che sarebbe rappresentato dalla Lupiae: infatti la partecipata vive sulle commesse del Comune, ma seconso il professore dovrebbe muoversi nel mercato libero. “Il Collegio lamenta la mancanza di controlli sull’attività e intima al Comune di non affidare più alla Lupiae tutti i servizi pubblici, affidando anche ad altre società che erogano i medesimi servizi, allo scopo di evitare, cito testualmente la relazione dei revisori: “alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato, assicurando parità tra tutti gli operatori ed economicità nei risultati”, chiosa Melica.
“La Lupiae, infatti, ha un valore di produzione pari a 9.581.962 euro di cui 9.581.962 derivanti da conferimenti del Comune di Lecce! Non solo, ma i costi del personale ammontano ad euro 9.036.814, ed il risultato dell’esercizio di quest’anno è stato negativo per un ammontare di euro 1.839.435. Detto in parole più semplici, la Lupiae incassa solo grazie alle commesse del Comune e la quasi totalità degli introiti servono a pagare il personale della partecipata. Inoltre, è lampante come le perdite non diminuiscono, nonostante il Comune abbia di recente conferito due beni immobili alla Lupiae, per la sua ricapitalizzazione. La cura suggerita dai revisori consiste nella predisposizione di adeguati controlli proprio per evitare che i piani industriali tanto sbandierati dall’amministrazione comunale siano asseverati da periti, dato che i piani adottati in precedenza hanno dimostrato di non essere credibili: un libro dei sogni, insomma.
Per il capogruppo Udc il Comune è a un bivio: o la lupiae diventa competitiva sul mercato o l’amministrazuione Perrone dovrà procedere ai tagli nella partecipata.