VERNOLE (Lecce) – Sarà la Direzione Distrettuale Antimafia ad occuparsi dei colpi di pistola esplosi all’indirizzo dell’abitazione in cui risiedono gli anziani genitori dei fratelli Andrea, Gregorio e Antonio Leo. Il fascicolo è finito sulla scrivania del sostituto procuratore Guglielmo Cataldi, già titolare di delicate indagini come “Augusta” e che vanta una lunga esperienza costellata da tanti successi nella lotta contro la criminalità).
L’inquietante gesto intimidatorio si è verificato nella notte tra lunedì e martedì alla periferia di Vernole, in via Segine alle spalle del mercato coperto nuovo. Intorno alle due ignoti attentatori hanno aperto il fuoco posizionandosi, con ogni probabilità, per strada e sparando da una distanza di almeno 25-30 metri. I colpi hanno scalfito gli infissi dell’abitazione di campagna: una finestra, una vetrata e un balconcino posizionato al piano terra.
E dire che gli anziani genitori hanno anche sentito dei rumori senza, però, pensare a degli spari. Si sono accorti di essere rimasti vittima di un’azione intimidatoria solo nella mattinata di ieri quando hanno chiesto l’intervento dei carabinieri. In via Segine sono così confluiti i militari della locale Stazione e i colleghi della Compagnia di Lecce.
Gli investigatori, coordinati dal sostituto procuratore Giovanni Gagliotta, non hanno trovato bossoli per terra e, quindi, chi ha sparato lo avrà fatto impugnando una pistola a tamburo o una semiautomatica. Sono stati comunque recuperati frammenti di ogive per risalire al calibro dell’arma.
Non è neppure chiaro se l’attentatore o gli attentatori abbiano agito a bordo di un’auto o di una moto e le indagini sono rese ancor più complicate dall’assenza di telecamere in zona. Certo lo spessore criminale dei figli dell’anziana coppia lascia presupporre che ad entrare in azione non sia stato uno sprovveduto o un commando improvvisato.
Basti pensare, così come scriveva il procuratore capo Cataldo Motta nella relazione dell’anno giudiziario, che nel settembre dei 2011 la scarcerazione di Andrea Leo venne festeggiata esplodendo dei colpi d’artificio. Il 41enne di Vernole, considerato dagli inquirenti a capo del clan “Vernel”, ha già incassato 16 anni di reclusione in primo grado nell’ambito del processo “Augusta” in continuazione con una vecchia sentenza legata al processo “Pit” ed è stato raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere il 26 febbraio scorso con la retata “Network”.
Di lui, precedentemente, aveva già parlato lo stesso sostituto procuratore Guglielmo Cataldi. Lo fece nel corso della requisitoria nel processo “Cinemastore” quando il magistrato, a mò di battuta, dichiarò che bastava eseguire una perquisizione nella cella del vernolese per recuperare tanto materiale investigativo e poter compiere un’indagine di polizia. Ed in effetti, in pochi mesi, la cella del 41enne venne perquisita per ben due volte e le ispezioni consentirono di ritrovare un ampio carteggio di lettere indirizzate ad Alessandro Verardi e ad altri amici dello stesso Leo.
Il 50enne Gregorio, invece, in appena una settimana, è stato raggiunto da due ordinanze di custodia cautelare: il 18 febbraio con l’operazione “Tam Tam” e sette giorni dopo con “Network”. Antonio, il terzo fratello dei Leo, invece, avrebbe ormai da tempo chiuso ogni contatto con la criminalità andando anche via da Vernole dopo aver scontato una lunga condanna per l’omicidio di un giovane di Strudà. In questo scenario sempre molto fluido è difficile fornire una chiave di lettura sull’attentato di lunedì notte.
All’orizzonte non si profila alcuna ipotesi di pentimento maturata in carcere dai Leo per cui si potrebbe ritenere che l’azione intimidatoria sia stata compiuta da qualche gruppo che ha deciso di prendere in mano le redini degli affari illeciti mandando un messaggio a chi si trova detenuto e che rischia di rimanere dietro le sbarre ancora per parecchio tempo.
F.Oli.