Oso, trascendo, affondando il pensiero in oniriche effusioni poetiche. Provo a interpretare, collegando etereo e terreno, la sublime poesia di Dario Bellezza.
Appena pubblicato da Mondadori il meraviglioso volume “Tutte le poesie”, contiene un’incontenibile forza poetica di Bellezza. È un’impresa titanica quella conseguita da Roberto Deidier, il quale ha portato alla luce l’intera vita poetica e poietica di Dario Bellezza: l’uomo e il poeta libero, custode di un messaggio pregno di una libertà incondizionata.
La libertà – sostiene Camus – appartiene al genere umano ed ognuno di essi ha la capacità e il dovere di esercitare la propria libertà, nell’essere libero si rispetta se stesso e gli altri. E aggiunge: «Senza libertà vera e senza un certo onore io non posso vivere». In queste parole si riflette, senza ombra di dubbio, lo stesso poeta.
Pertanto, il valore di onestà è visibilmente sotteso nelle parole “La fine dell’amore dopo l’amore”, ovvero quando definitivamente cala il sipario, si butta giù la maschera, in attesa non della prossima replica, ma di uno spettacolo che si vorrebbe di nuovo e che invece si compie nel dolore di una finitudine e che fa soggiacere tutti, attori e spettatori, allo sguardo pietrificante di “Serpenta”. (Roberto Deider).
Rivoluzionario, controverso, nemico della borghesia, afferma se stesso con i suoi ideali e utilizza la poesia come strumento di comprensione di sé. Appare un po’ come il giovane Rimbaud, come Pasolini, che ha pure letti e amati, uniti da quel sottilissimo, ma resistente filo dell’amore che lega Bellezza anche all’amico Sandro Penna.
Dario Bellezza è il poeta autentico, sincero, non si assurge a vate, o ad altro, ma dichiara di se stesso di essere un uomo come tanti, amico dei gatti, ai quali dedica dei versi.
Non ha nascosto la sua omosessualità, né si è fatto carico di una vita regolata, non gli è mai appartenuta, e sarebbe anche pretestuoso. Un siffatto genio poetico non può avere regole, limiti se non è lo stesso a porseli. Non si può incastrare, rinchiudere in “cella” Dario Bellezza, complicato, non solo, fuorviante; sebbene è lo stesso a rimanerne impigliato nella medesima “cella” del corpo che assume il significato di materia, segno del tempo, contenuto di un amante e di un amato che lui vorrebbe eterno.
Nasce a Roma, il 5 settembre del 1944, e muore dopo una lunga malattia il 31 marzo del 1996. È un poeta contemporaneo, dunque, dimenticato di fatto, com’è consuetudine in Italia; per fortuna, accade, di rado, ma avviene che si incontrano clemenza e acutezza di poeti come Roberto Deidier, che ha voluto offrire questo grande dono al lettore, credendo nel segno tangibile che ci hanno lasciato Dario Bellezza e la sua poesia.
Dallo stile follemente libero, scevro di regole e punteggiatura, poesia allo stato puro, dissoluta senza licenza, trabocca, è presente, non può morire: « /… /e mentre cade la sera accecato scrivo / queste vane parole di commiato. La poesia / è morta, ma tu non sei morta in me». (p. 61).
In “Tutte le poesie”, Dario Bellezza invoca il corpo, emblema dell’amore terreno. Ma il corpo sembra essere anche “volontà di vivere” come sosterrebbe Schopenhauer, una forza unica esaltata dallo stesso Nietzsche, contro ogni forma di idealismo.
Emergono, inoltre, l’angoscia di un piacere vissuto, la speranza di viverlo ancora. È manifesto come in alcune poesie di Bellezza, aleggi lo spirito “maledetto” di un altro poeta, Salvatore Toma, salentino. Ecco che la morte, il corpo, la sera, la pochezza umana, la sua fragilità, la forza dell’amore, quello sommo, unico, viaggiano indisturbati tra i versi di Bellezza, e sono ossessioni infauste. E così: «Vuoto d’eventi, in effetti / come una condanna a morte, un supplizio / immeritato prima della fine e dell’orgasmo / rinviato sempre per una condanna / inespiabile, o oltraggio infausto / ai condannati alla vita!». (p. 373).
Leggere la poesia di Dario Bellezza, interpretarla, meditarla, farla propria richiedono un “labor limae” dignitoso e umile; non resta, tuttavia, che abbandonare il proprio corpo e la propria anima alle parole sferzanti del poeta che colpiscono come vento boreale, e lasciarsi perciò coinvolgere come solo un tenero efebo può fare.
Alessandra Peluso