PARABITA /CASARANO (Lecce) – Palpeggiamenti e toccatine ai danni di una passeggera a bordo di un treno. In due differenti episodi a distanza di pochi mesi e sempre sulla stessa tratta: Casarano-Gallipoli. Antonio Cataldi, 23enne di Parabita, è stato condannato a tre anni di reclusione. La sentenza, di primo grado, è stata emessa dai giudici della seconda sezione collegiale (Presidente Roberto Tanisi) a fronte di una richiesta di due anni invocata dal sostituto procuratore Francesca Miglietta. L’imputato dovrà anche risarcire con 10 mila euro la vittima dei presunti abusi, una 38enne di Casarano, costituitasi parte civile con l’avvocato Giovanni Bellisario.
Gli episodi risalgono all’11 luglio di quattro anni fa e al 5 settembre sempre del 2011. Il giovane avrebbe approfittato della donna in una carrozza isolata del treno delle Ferrovie del Sud Est che la 38enne prendeva quotidianamente per raggiungere il posto di lavoro. Nella prima occasione, il 23enne avrebbe palpeggiato la donna che le sedeva accanto facendola cadere per terra dopo aver tentato di avere un rapporto. Il secondo episodio si sarebbe consumato due mesi dopo.
Il 5 settembre. Il giovane avrebbe sorpreso la donna sul primo vagone del treno. Dopo averle rubato il borsello l’avrebbe costretta a seguirlo in un vagone isolato. E lì Cataldi avrebbe nuovamente palpeggiato la passeggera cercando di insidiare la donna. La 38enne, però, ebbe il coraggio di segnalare gli abusi subiti al capotreno che chiese l’immediato intervento dei carabinieri. Grazie alle testimonianze raccolte e alla querela della presunta vittima, i militari chiusero il cerchio attorno al presunto responsabile rinviato a giudizio il 17 ottobre di tre anni fa.
Nel corso del processo sono stati sentiti la persona offesa, il padre del 38enne e il suo fidanzato oltre ai capotreni dei due episodi. Il primo – ha dichiarato in aula – non sapeva nulla perché non era stato informato. Il secondo, invece, ha riferito di essere stato allertato dalla donna alla fine del tragitto ma di non aver notato segni tangibili riconducibili ad una violenza. “E’ una sentenza veramente ingiusta”, commenta l’avvocato dell’imputato Giuseppe Vinci, “perché il mio assistito è stato condannato sulla base delle sole dichiarazioni della donna smontate nel corso dell’istruttoria”. In attesa che vengano depositate le motivazioni l’avvocato ha già annunciato che intende appellare la sentenza.
Francesco Oliva