CASTRO (Lecce) – Una data storica quella appena trascorsa, un ritrovamento di rilievo importantissimo per Castro e per l’archeologia mondiale della cui portata si continuerà a parlare ed approfondire per molto tempo ancora. Il busto della statua di Minerva conferma la presenza del tempio cantato nel poema epico dell’Eneide scritto da Virgilio tra il 31 e il 19 a.C., sulla vita di Enea collocata intorno al 1250 a.C.
Un filo conduttore,quindi, lungo più di 3000 anni.
La descrizione dell’approdo di Enea, riportata nel libro III (vv.506 e ss.) trova l’ennesimo, ed a questo punto si potrebbe dire il più determinante, riscontro archeologico nella località salentina, dopo anni di studi, di ricerche e, perché no contese con altre realtà rivierasche della costa adriatica.
Lo stesso Enea, così descriveva il punto del suo sbarco dopo la fuga:
“…e già più vicino si intravede un porto, e appare un tempio di Minerva su una rocca…
… Il porto è incurvato ad arco dalla corrente…
…i suoi moli rocciosi protesi nel mare schiumano di spruzzi salati, e lo nascondono; alti scogli infatti lo cingono con le loro braccia come un doppio muro, e ai nostri occhi il tempio si allontana dalla riva…”
Leuca, Tricase, Porto Badisco sono state da molti accostate al luogo in questione, principalmente per la morfologia dei rispettivi territori. Tuttavia, anche grazie ad altre testimonianze storiche che hanno raccontato l’arrivo di Enea in Italia, come ad esempio Dionigi di Alicarnasso, altri dettagli hanno contribuito a far credere che nessuna di queste località fosse quella della fuga del principe dei Dardani. Su tutte, l’esistenza del tempio dedicato alla dea Minerva e la presenza di una importante comunità cretese.
Da circa dieci anni ad oggi, il Prof. Francesco D’Andria, archeologo di fama internazionale, insieme alle amministrazioni comunali succedutesi, al responsabile degli scavi Amedeo Galati ed agli altri archeologhi, ha profuso notevoli sforzi per portare alla luce queste testimonianze conducendo e dirigendo gli scavi nel centro storico di Castro proprio in cima al noto promontorio, trasformando quella che all’inizio sembrava una scommessa, in accertata realtà.
Di tutti i ritrovamenti, quelli che più rilevano ai fini di questa tesi, sono stati le possenti mura messapiche evidente testimonianza della presenza di una comunità importante per l’epoca, una statuetta di bronzo raffigurante Atena iliaca con l’elmo frigio come prova della devozione alla stessa da parte degli abitanti (nel 2008 da parte di un archeologo castriota, Emanuele Ciullo) e per ultimo in ordine cronologico, il busto di una statua di donna, ornato da drappeggio raffinato, con tracce di porpora, di dimensioni doppie rispetto a quelle naturali che potrebbe raffigurare proprio la dea minerva.
L’imponente statua era a tre metri dalla superficie dello scavo, ha circa 2400 anni e nonostante sia acefala e priva degli arti, i ritrovamenti della falange di un dito, di un braccio e della base fanno ben sperare nel rinvenimento delle parti mancanti, anche perché dalla posizione in cui è stata ritrovata si pensa possa essere stata deposta volutamente per essere riportata alla luce.
Che la storia di Enea e del “Portus veneris” sia una leggenda o meno poco importa: quello che conta è che sia fatta luce sulla storia di un luogo realmente esistito e descritto minuziosamente più di duemila anni fa, legato ad uno degli episodi più affascinanti e mitici che la storia abbia voluto raccontare, anello di congiunzione fra la guerra di Troia e la fondazione di Roma, culle della Civiltà.
Alberto Capraro