“Io e Ed non vogliamo fare i testimonial di una battaglia di civiltà. Vogliamo solo vivere in pace. Ho comprato casa a Terlizzi, a duecento metri dal luogo dove nacque mia madre, conosco tutti e tutti mi vogliono bene. A Roma abbiamo un piccolissimo appartamento in centro. Ma non permetteremo che il corpo di nostro figlio diventi una bandiera dei diritti civili. Meglio tornare a ottomila chilometri dall’Italia in questa casetta piccolina in Canadà che è piena di grazia italiana”. Così Nichi Vendola, a Montreal, in un’intervista a Repubblica.
“Mai, quando ero ragazzo a Terlizzi, avrei potuto immaginare di avere un giorno un marito canadese e un figlio americano”, racconta Vendola. Tobia è nato a Sacramento e l’atto di nascita è stato compilato all’anagrafe californiana, dove “la legge consente di scrivere quello che vuoi”. Il padre biologico, spiega, è Ed, “in questo modo Tobia è più tutelato e non solo perché Ed è canadese e italiano e dunque assicura a Tobia altri due passaporti. Il cognome è Testa e non Vendola”.
Sull’utero in affitto, “capisco che, a parte la bestialità razzista e omofoba, ci sia un pezzo d’Italia per bene che possa sentirsi disorientata. Penso che se vedessero, se giudicassero in concreto e non in astratto, capirebbero tutto subito”, dice Vendola.
“La gestazione per altri è la risposta della scienza al bisogno di famiglia, è una difesa della famiglia. La maternità surrogata è praticata soprattutto dalle coppie eterosessuali ed è probabile che tra una ventina di anni, come prevede Umberto Veronesi, sarà molto diffusa e anche in Italia si riderà di tutte queste resistenze”.