PORTO CESAREO (Lecce) – “Ergastolo”. La parola sinistra e chiara è risuonata nell’aula bunker nel primo pomeriggio. Per la seconda volta in pochi mesi. Il carcere a vita è stato confermato a Vincenzo Tarantino, il 52enne originario di Manduria, accusato del duplice omicidio dei coniugi, Luigi Ferrari e Maria Antonietta Parente, di 54 e 55 anni, brutalmente uccisi nella loro camera da letto nella notte tra il 23 e il 24 giugno di due anni fa a Porto Cesareo. La sentenza è stata emessa dai giudici della Corte d’assise d’appello (Presidente Vincenzo Scardia) che si sono allinetati alla richiesta del vice procuratore generale Claudio Oliva. L’imputato rispondeva di duplice omicidio aggravato dalla crudeltà e rapina aggravata. E’ stata confermata così in blocco la sentenza di primo grado arrivata con giudizio abbreviato condizionato da una perizia psichiatrica sull’imputato che aveva accertato come l’imputato fosse sano di mente il 22 dicembre scorso. I giudici hanno anche confermato una provvisionale di 100mila euro in favore delle parti civili Margherita Parente, Giovanni Parente, Alberina Antonia Ferrari, Silvana Parente e Salvatore Marsico assistite dagli avvocati Giuseppe, Michele e Giulia Bonsegna, Vincenza Raganato, Gianluca Coluccia, Francesco Spagnolo e Fiorino Ruggio. Si chiude con il massimo della pena il processo anche il secondo grado di giudizio su uno dei fatti di sangue più efferati compiuti nel Salento negli ultimi anni.
L’intricata matassa di una terribile mattanza venne sbrogliata in breve dall’acume investigativo dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Lecce e dai colleghi della Compagnia di Campi Salentina che, in breve, cristallizzarono la scena del crimine. Il duplice omicidio maturò non appena Tarantino venne scoperto e riconosciuto dalle sue vittime. Le conosceva entrambe. Forse il 52enne originario di Manduria covava anche un odio profondo nei confronti della donna ritenuta responsabile della fine della relazione con la nipote della coppia. Ma quella mattina non doveva essere una vendetta. L’uomo, nelle sue convinzioni, era certo di non trovare nessuno in casa. Forse doveva compiere un furto culminato in una brutale esecuzione. Scoperto e riconosciuto Taratino avrebbe perso la testa massacrando la coppia.
Ferrari venne ucciso nel disimpegno. Aveva lottato, si era difeso, aveva cercato di parare i fendenti sferrati con il piede di porco. Invano. Ben trenta, infatti, i colpi furono inflitti con un piede di porco a Luigi Ferrari, secondo quanto stabilì l’autopsia eseguita dal medico legale Roberto Vaglio e dai carabinieri del Ris. Le indagini scattarono nell’immediatezza di un fatto di sangue che gettò un’intera comunità nella paura e nella disperazione.
Furono ascoltati vicini di casa, parenti e dopo poche ore nella stazione dei carabinieri di Porto Cesareo il nome di Tarantino era già segnato sul taccuino degli investigatori. Subito dopo l’arresto il presunto assassino ha sempre professato la sua innocenza. Mai un passo indietro, mai un rigurgito di resipiscenza. Fermo sulle sue iniziali posizioni. L’assassino non ha tradito alcun segno di cedimento. Anzi. Nei giorni che hanno preceduto la requisitoria Tarantino è stato anche ascoltato dal magistrato in carcere e scaricò su altri le responsabilità di quel bagno di sangue. “Un verbale” sottolineò la pubblica accusa “al limite dell’oltraggio non al pm ma al senso di decenza in un processo tragico”.
Ago della bilancia nel giudizio di primo e di secondo grado l’esito della perizia disposta dal Tribunale nel processo di primo grado: Tarantino era capace di intendere e di volere, in grado di mentire e che capiva benissimo. Per la difesa rappresentata dagli avvocati Antonio Savoia e Giada Tarantini, invece, le capacità del 52enne erano scemate per l’abuso di cocaina. A distanza di mesi, dopo un secondo processo, si fa fatica non rievocare le parole del pubblico ministero Giuseppe Capoccia (attuale procuratore capo a Crotone) pronunciate come una litania nel corso della sua requisitoria: “Signor giudice, finchè vivo non avrò dubbi sul colore di questo processo! Sul colore di quella casa, sul colore dei pavimenti, sul colore di quelle povere vittime! Rosso, rosso, rosso sangue, tutto rosso sangue. Non era, come talvolta si dice, un lago di sangue! No! Era tutto sangue! I corpi, i pavimenti, i muri, le lenzuola, il disimpegno…tutto!! Anche l’aria di quella casa”. E quell’incipit di una lunga e articolata requisitoria rimarrà impresso per tanto tempo nei giudici di primo e di secondo grado che si sono dovuti esprimere su un duplice omicidio così efferato confermato sempre il massimo della pena.
F.Oli.