Dalla fragilità del suo corpo alla forza arguta delle parole che fluiscono dal suo ventre, Eliana Forcignanò è così, e si mostra in tutta semplicità, con una nuova raccolta poetica dal titolo “E libera non nacqui”, edita dalla casa editrice salentina Salento d’Esportazione-iQdB.
Esistenzialista. Gioca con i versi, utilizzando un linguaggio ricercato. Libera nella scrittura, nel pensiero, amante della filosofia, converge nella poesia; in quanto da anima sensibile non può tener distinte le due identità. L’unicità, infatti, echeggia nella poesia di Eliana, proprio come scrive Simone Giorgino nell’Introduzione: «La poesia di Eliana Forcignanò è attraversata da un concerto di voci differenti che si intersecano in un equilibrio armonico, oppure si puntellano a vicenda in un controcanto che dà al lettore un senso di vertiginosa precarietà, rispecchiando, in questo modo, l’esibito disagio interiore dell’autrice».
E chi non ha inquietudine, voci demoniache, angeliche, perverse, chi? I poeti, che brutta razza, si è spesso scritto, lo diceva Salvatore Toma, così come Claudia Ruggeri.
Eppur tuttavia, ne “E libera non nacqui” ci sono il mito, l’imago, la fantasia, intrecciati nell’atona realtà. Si dipanano il paradosso di Zenone, la maestra Saffo, l’infanzia di Eliana, la paura, il dolore. E si legge: «L’autismo si sente / di quell’orologio ridondante / d’ore che si scarmigliano scorrendo / sotto l’egida d’una bacchetta bagnata / di noia mentre il sole invitto si beve / un agosto rantolante di vecchio / tornato all’ovile» (p. 29).
La poesia di Forcignanò non è una poesia di passaggio, né di passeggio, quando la si legge penetra nel profondo e resta lì, a lungo, come i carboni caldi, a fuoco spento. E ancora: «Dicono che abbia bei colori l’alba / come l’orgoglio di esser nata / o forse è ferita che ti adombra lo sguardo/ le spalle t’incassa / i pugni serrati all’addiaccio» (p. 39).
Dolore, tedio, nostalgia, insofferenza, quotidianità che apparentemente accetta Eliana cantandone in versi, durante uno scurrile dì. Nascita e morte, Terra, Madre: un filo sottile conduce il poeta al cielo, a quell’etereo e inafferrabile mondo che diventa gioco; d’altronde, per Forcignanò è l’unico modo per parlare, per comunicare e cercare di capire ciò che è in sé e nell’altro. E in questo mistero si svela la silloge “E libera non nacqui” ; sebbene legata a quella “pasta madre”, l’autrice è riuscita a liberarsi, a rompere quel legame di “cristallo” e a librarsi libera come farfalla, echeggiando i suoi versi, i quali non meritano affatto di non essere ascoltati.
“E libera non nacqui” di Eliana Forcignanò è come il miele con lo zenzero, o è come assaporare il cioccolato fondente col peperoncino: un gusto quasi oltraggioso, blasfemo, da non poterlo però evitare. Una piacevole trasgressione.
Alessandra Peluso