LECCE – Dopo due anni di lavoro, tutta la seconda parte della costituzione è stata ritoccata. C’è orgoglio tra i dem che lottano per il sì. Essendo un comizio, un monologo senza domande, non si entra mai troppo nel merito del “mostro giuridico” che la maggioranza del Pd sta sostenendo. Ai democratici piace così: niente domande sconvenienti. Prima Renzi, poi la Boschi: nel Salento solo monologhi per promuovere il sì. È il nuovo che avanza: sono finiti i tempi dei “vecchi tromboni” alla Bersani, che nel Salento non lesinavano interviste. La ministra è protetta da eventuali “attentati giornalistici”, del resto, come ironizza Travaglio, si tratta di una politica che durante le visite nelle università non riesce a tenere testa nemmeno a una matricola (vedere il video su YouTube per credere). Chissà se a fine giornata qualche collega riuscirà a portare a casa una dichiarazione, magari rassicurando la ministra con “domande aperte”. Salvatore Capone fa i saluti e parla di emozione nel fare questa riforma. Per il deputato Massa è “una riforma che aspettiamo da 30 anni e che mette in pratica i principi contenuti nella prima parte”.
“La democrazia è discutere, partecipare per decidere” – spiega il deputato, bacchettando Zagrebelsky, che secondo lui vorrebbe una democrazia che non decide mai (in realtà il professore parlava di garanzie costituzionali che funzionano, quando le si vuole far funzionare. Infatti, le leggi peggiori, come quella Fornero, sono passate in 16 giorni). Anche Teresa Bellanova arringa la folla numerosa, e in gran parte rimasta in piedi, del President. “Quello che abbiamo modificato è ciò di cui si discuteva durante la costituente. Questa è una buona riforma – chiosa la viceministra dello Sviluppo economico – Dagli anni ’90 parlavamo della necessità di un cambiamento. Il superamento del bicameralismo era persino nel programma di Prodi”. Bellanova parla di lavoro, dicendo cose giuste sulle emergenze che ci sono, e della necessità di poter legiferare velocemente, ma non entra nel merito. La viceministra se la prende con la foto di D’Alema, la “compagnia dei rancorosi” che fa le foto con “Cirino Pomicino e Brunetta contro la riforma”. “Ma cosa c’entrano tutti insieme?”- si chiede. Maria Elena Boschi fa la stessa domanda alla platea. Sì, D’Alema non c’entra nulla con Brunetta, ma cosa c’entra il “padre costituente” Verdini con Renzi? Cosa c’entra, allora, il patto del Nazareno e Forza Italia col Pd? Perché un Parlamento di nominati con una legge in buona parte incostituzionale si arroga il diritto di cambiare parti fondamentali della costituzione? Perché mettiamo al Senato dei dopolavoristi, che vanno a lavorare nel weekend, non votati direttamente dal popolo per quella funzione, che usufruiranno anche dell’immunità? Ci pensa la ministra a rispondere nel merito.
Alla fine tocca a Maria Elena Boschi: anche lei, però, non tocca gli argomenti più spigolosi con precisione. La ministra delle riforme utilizza il solito cavallo di battaglia: la riforma come unica occasione per cambiare. Poi, c’è il pezzo che funziona meglio: quello della riduzione dei parlamentari. “Nessun Parlamento prima aveva votato una riduzione così drastica della riforma dei parlamentari” – spiega, citando anche l’abolizione del CNEL. Non si entra mai troppo nel merito delle contestazioni tecniche e sostanziali al disegno. “Ci accusano di non aver superato il bicameralismo perfetto perché il Senato resta, ma le leggi saranno approvate più velocemente. I vostri rappresentanti potrete votarli voi direttamente sul territorio, poi consiglieri regionali e sindaci vi rappresenteranno in Parlamento. Noi cambiamo una riforma del titolo V, passata con quattro voti in più nel 2001”. Eppure, il bicameralismo resta su diverse materie (quindi la navetta da un ramo all’altro del Parlamento) e il Senato potrà rallentare l’iter legislativo sempre con i suoi pareri. Ma la ministra non risponde alle domande: lei va avanti con la lezione che recita a memoria. Qualche giornalista perde la pazienza: la sicurezza usa le maniere forti e lascia fare solo selfie. Ora i profili facebook saranno intasati di foto con la ministra: viva il 4 dicembre. Meno burocrazia, basta con l’autonomia di 20 regioni, in cui ognuna decide per conto suo: tutto questo per i renziani significa meno dominio burocratico. Basta con 14 permessi diversi, chiesti a nove amministrazioni differenti: si centralizza tutto e si decide tutto a Roma con i rappresentanti dei territori.
Si dimentica che le regioni a statuto speciale restano in piedi con la loro “super autonomia”, anche di spesa, mentre quelle ordinarie, comprese le virtuose, tornano a un centralismo che potrebbe strozzare la volontà dei territori anche su scelte fondamentali per la loro crescita. Il governo puntando su frasi come “l’ultima occasione per cambiare”, fa leva sulla paura, perché una sconfitta al referendum potrebbe far crescere troppo il Movimento 5 Stelle. “Introduciamo degli strumenti in più per far partecipare i cittadini – spiega la ministra – abbassiamo il quorum per i referendum abrogativi, anche se ci vogliono più firme”. Già, molte più firme. E con l’Italicum molti più nominati, con capilista imposti dalle segreterie di partito in dieci collegi diversi. Ma cosa vuoi che importi a dei nominati?
Gaetano Gorgoni
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