SAN CESARIO (Lecce) – Diventa definitiva la condanna a 30 anni di reclusione per Lorenzo Arseni, il 40enne di San Cesario, omicida reo confesso del bodyguard Gianfranco Zuccaro ucciso il 7 luglio del 2013 nella piazza del paese ad una manciata di chilometri da Lecce. I giudici della prima sezione penale della Cassazione (competente per gli omicidi) hanno così confermato la sentenza della Corte d’assise d’appello che aveva riformato (il 22 giugno 2015) la condanna a 20 anni di reclusione inflitta in primo grado dal gup Carlo Cazzella a fronte di una richiesta dell’ergastolo nei primi due precedenti gradi di giudizio. Il giudice escluse l’aggravante della premeditazione riconosciuta poi nei due successivi gradi di giudizio riconoscendo invece l’aggravante delle modalità mafiose. I genitori e le sorelle della bodyguard, morto a soli 37 anni, tramite il proprio legale Mariangela Calò, esprimono grande soddisfazione per il verdetto emesso nelle scorse ore perchè è stata finalmente resa giustizia ad una famiglia dilaniata dal dolore.
L’omicidio di Zuccaro si consumò, come detto, nel centro di San Cesario di Lecce, paese natale della vittima. Arseni esplose sette colpi di pistola contro il bodyguard all’uscita di un bar dopo aver sorseggiato un caffè in compagnia. L’omicida fece perdere le proprie tracce. Venne stanato dopo circa un mese dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Lecce, al comando del capitano Biagio Marro, nella marina di Lendinuso dove stava svernando la sua latitanza. I carabinieri agganciarono la moglie risalendo così al covo del killer. La tesi del movente passionale (presunte avances di Zuccaro alla moglie di Arseni) sostenuta dall’omicida, già nel corso dell’interrogatorio di garanzia non convinse mai gli investigatori così come invece sempre dichiarato dall’omicida.
Arseni, seguendo la ricostruzione del condannato, avrebbe deciso di incontrare il suo “rivale” nel bar abitualmente frequentato dallo stesso. La conversazione tra i due sarebbe poi proseguita all’esterno dell’attività commerciale: Zuccaro avrebbe inizialmente negato ogni contatto con la compagna dell’arrestato. Poi, però, mentre i due si stavano separando, il bodyguard (sempre secondo quanto raccontato da Arseni) avrebbe rivolto pesanti apprezzamenti nei confronti della moglie, schernendo il suo interlocutore. L’uomo, accecato dalla gelosia, avrebbe estratto la pistola dal marsupio, sparando una serie di colpi “alla cieca” (senza ricordare quanti).
Zuccaro, colpito più volte, stramazzò al suolo in una pozza di sangue, dopo aver cercato (invano) un appoggio. Fatali si rivelarono le ferite dei tre colpi di pistola calibro 7.65 che gli trapassarono il fegato ed un polmone. Per gli inquirenti, invece, si trattò di un’esecuzione programmata per punire l’atteggiamento tracotante e violento di Zuccaro: picchiò il proprietario di una palestra per costringerlo ad accettarlo come socio e prese anche a schiaffi un amico di Arseni pochi giorni prima dell’esecuzione. E in primo grado, il gup contestò anche l’aggravante delle modalità mafiose (considerati i trascorsi del condannato nel clan Tornese) caduta in Appello e in Cassazione. Per la difesa, rappresentata dagli avvocati Ladislao Massari e Massimiliano Petrachi, si sarebbe trattato di un omicidio d’impeto così come ricostruito dalle immagini di videosorveglianza maturato in un contesto di forti tensioni e dissapori personali tra vittima e assassino.
La Cassazione ha annullato con rinvio per ragioni di competenza alla Procura di Brindisi le condanne di tre dei cinque fiancheggiatori, un’eccezione sollevata dalle difese sia in primo e secondo grado e puntualmente rigettate. Si dovrà rifare un nuovo processo per Antonio De Marco, 46enne di Cellino San Marco, (2 anni); Maurizio Manfreda, 44, di Brindisi e Federica Ferrara, 28, di Brindisi (1 anno), assistiti dall’avvocato Ladislao Massari. Per Agata Rollo, 56, di San Cesario e Italo Cleopazzo, 66 anni, di San Cesario, la condanna a 1 anno e 4 mesi non è stata impugnata in Cassazione.
F.Oli.