LECCE – Una delle ragioni, non l’unica, né la più importante, ma probabilmente quella che ha giocato un ruolo rilevante nella caduta dell’impero romano,è stata certamente il problema demografico. I romani non facevano più figli, o quantomeno, non ne facevano a sufficienza. Una circostanza che si è posta quando l’impero aveva raggiunto i livelli di maggiore benessere e lusso,momenti e circostanze in cui notava lo scabroso scrittore Maurice Sachs, riferendosi agli inizi del XX secolo, semmai si moltiplicano i vizi entro i quali si lasciano macerare le carni e imputridire gli spiriti. E in effetti successe così anche nella fase ultima dell’Impero Romano, nota come “Basso Impero”, parola che usiamo tutt’ora per indicare quel culto della sterilità, delle lassezze e dissolutezze come sintomo di agonia che prelude alla fine totale di qualcosa come un impero e un’intera era storica. Il segnale principe di tutto questo venir giù del mondo, però, resta il venir meno delle nascite.
Per tale ragione,e per ovviare al problema nel modo più semplice, Roma provvide a riconoscere la cittadinanza anche ai “barbari” a quelle popolazioni che, pur facendo parte dell’impero, incominciavano a godere solo allora dei benefici di cittadini romani di fatto. Una specie di ius soli moderno. Questo processo ha comportato una contaminazione, una dinamica di inculturazione che non avveniva più ad extra, ma ad intra. Cioè non era più Roma a civilizzare il mondo conosciuto, ma era Roma a subire le influenze del mondo fino a quel momento da essa civilizzato, dal momento che qualunque impero non importa mai le culture, esporta la sua solamente… e quando si verifica il contrario, la fine è vicina.
Ecco perché il problema dell’immigrazione, che ho affrontato con l’articolo sul nostro Viale Lo Re, era parziale nella sua analisi. Parziale perché l’immigrazione diviene una necessità, e quindi quasi una imposizione,quando mancano politiche familiari degne di essere chiamate tali. Allora l’immigrato è visto come una risorsa, un supplente (che diventerà stabile) che copre un’assenza, un bene di cui non potremmo farne a meno, quasi migliore del nostro concittadino o connazionale, perché più disposto a sacrificarsi, a compiere turni di lavoro massacranti, e ad accontentarsi di pagamenti più bassi,accettando condizioni di vita mediocri sotto il compiacente sguardo delle leggi “buoniste” che guardano e non vedono quanto non gli conviene. Ma questa è una forma di schiavitù legalizzata, che a noi piace chiamareaccoglienza e amore per il prossimo, sui quali – va detto – fin troppi volenterosi del politicamente corretto hanno costruito fortune e carriere formidabili, un vero nuovo business sulla vita umana, se è vero quanto diceva Leo Longanesi che è «con le migliori intenzioni che si fanno le peggio cose».Ma se dunque vi è la necessità di accrescere la popolazione nazionale, perché non investire sui nostri figli, e quindi su chi li genera?
E’ mai possibile che un figlio meriti le prime pagine dei giornali sono quando deve essere riconosciuto e garantito, quasi fosse un diritto, ad una coppia omosessuale?!Nessuno mi toglierà dalla testa l’idea che per me l’italiano debba necessariamente contare sempre un pochino di più di uno straniero, sia esso svizzero, canadese, nigeriano o russo. E’ una questione di sangue e carne credo, forse ancestrale, un senso di dovere e responsabilità: è legge di natura o no che io mi occupi delle persone che abitano dentro casa mia, e poi per il tempo che rimane dei vicini in difficoltà? Me lo concedete? Ci stanno degli obblighi che vorrei dire “di natura”. Persino il grande Dottore della Chiesa, San Tommaso, diceva “prima provvedi a nutrire te stesso, poi gli altri, ma non ti è lecito affamarti per saziare un altro”. Un altro che non sia imposto dalla legge di natura: una madre il figlio ad esempio. E se lo dice un santo tanto grande e tanto colto!
Del resto se volessi fare gli interessi del primo indiano di turno, potrei sempre trasferirmi in India e tentare di migliorare quel mondo dall’interno. Ma se io sono nato qui, non ho forse il dovere di occuparmi dell’interesse di quel paese che mi mette in relazione con le lunghe tradizioni di questo popolo? E se io qui vengo votato ed eletto, non sono forse in obbligo con chi mi ha voluto, rispetto a chi è del tutto politicamente parlando ininfluente? Anteporre gli interessi di questi ultimi rispetto ai primi, non è forse atto di profonda ingiustizia? Ed ecco perché il problema non può essere derubricato a razzismo. E’ come dire che dovrei volere più bene al figlio di un altro, piuttosto che al mio, e che se così non fosse, sarei razzista nei confronti del figlio di un altro appunto. Ora questo esempio banale, spiega il perché il problema dell’immigrazione è affrontato dai più politicamente corretti solo sul piano ideologico, e quindi privo di qualunque senso pratico.
Per questa ragione ho proposto al candidato sindaco Mauro Giliberti di verificare le condizioni per riconoscere la sospensione dei tributi comunali alle coppie sotto cittadini e residenti leccesi un soglia di reddito (tra i 25.000 euro da modello ISEE) che mettono al mondo un bambino, con la possibilità dal quarto anno di riprendere a pagare i contributi comunali con una piccola percentuale in più per recuperare gli anni precedenti non versati. Un piccolo, grande aiuto, ma è da qui che bisogna cominciare, dai figli. Bisogna riprendere a credere nel futuro, così sarà possibile vivere bene nel presente. Se si considera il futuro assente o nero, allora non avrà alcun senso impegnarsi per una Lecce migliore!
Vorrei ricordare che nel 2016 a Lecce sono nati solo 701 bambini, il valore più basso dal 1931, mentre il numero dei morti è in continuo aumento (oltre 1000). Se questi dati si intrecciassero con quelli immigratori, comprendiamo bene che stiamo assistendo ad una sostituzione lenta e graduale di chi vive nella nostra città! Questo perché, torno a ripetere: che senso ha recuperare beni artistici, se poi a Leccetra 50 anni vivranno pakistani e indiani? Questa terra, è la terra dei miei avi, perché dovrei consegnarla a chi la vede solo come terra di affari e conquista? Nèrisulta che in Cina, in Pakistan oppure in India, ci siano guerra o condizioni tali da giustificare flussi migratori così ingenti, di persone che intraprendono attività commerciali i cui proventi finiscono all’estero ad arricchire le loro terre d’origine, contribuendo ad alimentare quel mercato che non ha patria ed aspira al mondo intero.
Ed ecco perché prima dei parcheggi, prima dei marciapiedi, questa città necessita del recupero del suo futuro, e cioè di nascite! E’ incivile una amministrazione qualunque essa sia: statale, regionale o comunale che si frappone, oè di ostacolo ad una coppia che non fa altro che garantire continuità, assecondando ciò che è innato nell’uomo, l’istinto procreativo, considerando che un figlio non è mai e solo un fatto privato, ma ha una rilevanza sociale, e perciò dovrebbe essere dalle amministrazioni garantito e protetto. Il nostro futuro non può essere l’immigrazione, il nostro futuro sono i nostri figli e i figli dei nostri figli!
Riccardo Rodelli