TUGLIE – Correva l’anno 2004 quando, il 17 aprile, Pippo Baudo approdò in un piccolo paese della provincia di Lecce, a Tuglie, per tagliare il nastro di inaugurazione di un museo nuovo (e, fino ad un paio di anni fa, unico nel centro sud d’Italia): il museo della Radio.
Vien subito da chiedersi come si sia arrivati a collezionare tanti beni da poter allestire un vero e proprio museo e la risposta risiede in un radiotelegrafista di successo ai tempi della sua carriera ultratrentennale nella marina militare: Salvatore Giuseppe Micali. È infatti grazie alla sua incessante ricerca e passione per le apparecchiature radio se oggi il paese può godere di tale, prestigiosa, rarità. L’idea nasce nel 1995, in occasione del centenario dell’invenzione della radio ad opera di Guglielmo Marconi (avvenuta nel 1895), quando fu organizzata una mostra nell’aula consiliare del comune di Tuglie, dove furono messi a disposizione del pubblico gli strumenti della collezione privata del signor Micali. Dall’enorme successo conseguito (presenziò anche la Rai), derivò la necessità di proseguire, garantendo questa volta la stabilità. Persino “La Macchina del Tempo” ha dedicato un articolo al museo.
Tra gli elementi esclusivi possiamo notare, su tutti, un apparecchio appartenente al sistema telegrafico Morse: si tratta in particolare di un trasmettitore brevettato da Thomas Edison, nel 1893, che in tempo di guerra permetteva la trasmissione dei messaggi di soccorso poiché in grado di contenere le coordinate geografiche, quindi la longitudine, la latitudine, il punto dove la nave o l’aereo versava in stato di pericolo. In questo modo chi lo intercettava sapeva dove dirigersi per prestare quanto prima soccorso.
Il museo attraversa diverse epoche e nella bacheca del settore telefonia possiamo trovare un modello di Erickson del 1894 ma sono presenti persino i primi modelli di cellulari. Non a caso, si è voluto creare un percorso tecnico – scientifico relativo alle telecomunicazioni e soprattutto alle radiocomunicazioni, a cominciare dalla pila di Volta, per proseguire poi con la telegrafia via filo, la fonografia e il radiogrammofono.
Collocato in postazione centrale, troviamo un grammofono ben funzionante, che il signor Micali mette prontamente in azione, girando la manovella e facendo così ascoltare il suono brillante della “Mattinata” di Ruggero Leoncavallo, emesso da un massiccio vinile da 78 giri. Il radiotelegrafista fa notare che strumenti come questo si sono rivelati (e continuano a rivelarsi) durevoli nel tempo, grazie all’impiego di materiali resistenti, a differenza dell’odierna tecnologia.
Il percorso prosegue poi con le apparecchiature degli anni 20, dove possiamo notare le prime cuffie audio, e degli anni 30. Spiega il signor Micali che quando i nostri avi emigravano in cerca di lavoro in America, ritornando in patria portavano spesso come cimelio un grammofono, perché è proprio lì che nasce, con Edison, tale strumento. Ebbene, questi grammofoni avevano una tromba molto decorativa, simile ad un giglio, che durante il viaggio rappresentava un ingombro: per questo negli anni 30 si optò per costruire l’ “inside trumpet”, una tromba interna, a differenza dei grammofoni degli anni Venti, caratterizzati dal sistema “a giorno”, con tromba esterna e pertanto visibile.
Nell’itinerario storico – coerente non manca neppure il televisore: uno dei primi modelli, col filocomando (in seguito trasformatosi in telecomando, poiché divenne elettronico) recante solo due manopole, una per regolare il volume e l’altra per la luminosità; dovremo attendere il 1961 per il secondo canale: prima di allora, il canale era unico.
Micali ha di recente proposto all’amministrazione comunale di Tuglie l’acquisizione di nuove repliche marconiane: gli originali infatti non esistono, perché una volta che gli scienziati ottenevano un risultato positivo, fissavano nella mente il meccanismo, per poi disfarsene in modo da reimpiegare le singole componenti, per la creazione di nuovi strumenti. Ecco perché neppure a Pontecchio Marconi, a Bologna, è possibile rinvenire gli originali.
Si tratta di un museo interattivo: è proprio questa la peculiarità. Il radiotelegrafista precisa infatti che quando riceve le scolaresche fa anche storia scientifica (ci sono per esempio strumenti di Faraday) e la differenza rispetto ai pochi similari in Italia sta nel fatto che la quasi totalità delle apparecchiature presenti al museo è funzionante.
Giuseppe Micali tiene molto alla formazione, perché, se dalla visita di un certo numero di studenti, in qualcuno di loro emerge l’indole nei confronti della ricerca tecnico-scientifica “allora il mio lavoro, insieme a quello dell’amministrazione, non sarà stato vano”.
Da qui la sua preoccupazione in questo periodo di momentanea, breve chiusura del museo per lavori in corso. Il suo maggiore cruccio è quello di mantenere gli strumenti funzionanti il più possibile, periodicamente all’opera, altrimenti, alla lunga, potrebbero andare in rovina.
Ci chiediamo allora se questi nuovi progetti siano necessari e se quindi sia opportuno tenere chiuso, sia pure per breve tempo, questo gioiello dall’ampia potenzialità culturale, sacrificando peraltro lo spazio e l’iter cronologico sapientemente messo a disposizione dal signor Micali: ci auguriamo che il futuro tavolo della “reception” non sia troppo ingombrante, tale da oltraggiare il necessario percorso originario, finora presente.
Quel che è certo, è che il ruolo rivestito da Giuseppe Micali è fondamentale per il paese, personaggio irrinunciabile, non altrimenti sostituibile, data la sua lunga esperienza lavorativa nella marina militare come capoposto della stazione di guerra elettronica.
Julia Pastore