di Gaetano Gorgoni
ROMA – Il giorno dopo l’ultima data della prova preselettiva del concorso per assistenti giudiziari, eccoli sbucare più agguerriti che mai: gli avvocati pronti a impugnare tutto per far saltare il banco. «Fatto il concorso, pronto il ricorso»: c’è già chi offre consulenza giuridica gratuita per poi andare a sfidare il Ministero della Giustizia nei tribunali. L’annuncio pubblicitario è in grande evidenza sul sito “Concorsando”, come potete vedere nella foto giù, promettendo giustizia ai concorrenti che si sentono lesi. Ma prima di loro c’è stata la grande festa di tutto l’indotto che ruota attorno a questi «eventi»: case editrici che vendono centinaia di migliaia di testi per ogni prova, proprietari della Fiera, alberghi, agenzie che si occupano della custodia degli oggetti (a due euro a persona), «bibitari», venditori ambulanti e chi più ne ha più ne metta. Gli iscritti alla prima prova servono numerosi per fare cassa: 308 mila (anche se poi se ne sono presentati di meno), per buona parte illusi, che hanno provato a lanciare i dati.
Pur essendo un concorso con prove che possono risultare impegnative anche per un laureato in legge, lo si apre a tutti i diplomati. Il risultato è stato che un fiume di avvocati e di possessori di diplomi, che col diritto non c’entrano nulla, si sono riversati nella Nuova Fiera di Roma per provare a svoltare in tempi di crisi. Ma perché aprire a tutti, se poi le domande sono così tecniche da dare per scontate certe minime competenze? Semplice: è un business alimentato dalla mancanza di lavoro e dalla speranza di un futuro migliore. Ecco perché non basta più essere avvocati per fare l’assistente giudiziario. Un tempo era riservato ai destinatari dei lavori socialmente utili: bastava la terza media ai nostri genitori per fare questo mestiere, altro che concorso con una marea di tempo perso e tre prove.
L’apoteosi della rabbia la raggiungi quando capisci che insieme a quelli con la terza media, quelli appartenenti a una generazione fortunata, che lavorano da quando avevano 20 anni, lavoreranno persone 40enni che hanno perso due anni per un concorso, cinque per la laurea in giurisprudenza, due per l’abilitazione e per l’esame di Stato di avvocato e qualche altro anno per capire che un avvocato di provincia senza clientela fa la fame. Se tanti avvocati si arrendono dopo molti anni di studio, bisogna solo prendere atto della crisi della professione, ma anche del sistema formativo italiano. «Siamo in tanti avvocati – ci spiega una delle migliaia di partecipanti salentine – I clienti pagano poco e male e io mi sono stufata di chiedere soldi e di lavorare 12 ore al giorno per pochi spiccioli. Non capisco perché questo concorso non parte da una selezione per titoli. Dopo anni di studio ed esami di Stato, ci dicono che dobbiamo competere, nella prova preselettiva, alla pari con un diplomato o con un laureato in altra materia. Così, con la banca dati mandata giù a memoria, chi ha un po’ più di tempo e fortuna passa».
Insomma, polemiche e rabbia, ma bisogna farsene una ragione: il concorso è aperto a tutti anche perché un tempo si accedeva con la terza media. Il legislatore soffre di atrofia: non sa adeguarsi ai tempi che cambiano, oppure non sa che pesci prendere. Le strade sono due: o si mira all’abolizione legale dei titoli di studio oppure è meglio farli valere questi titoli, anche nelle prove preselettive dei concorsi per professioni dove un tempo bastava veramente poco per accedervi. A meno che a qualcuno non facciano comodo fiumi di gente: una specie di “turismo concorsuale”, che riempie le tasche di molti. Il dubbio è solo retorico. Sulla speranza ci mangiano in troppi.