Ci sono dei libri dai quali effluiscono nell’immediato atmosfere, spazi, tempi che tuffano il lettore in un passato da rivivere; così accade con il romanzo “Devi crescere” di Giuseppe Minonne, pubblicato da Edizioni Grifo.
Un romanzo di formazione, “Devi crescere”, vuole soprattutto tramandare uno scorcio di vita difficile, vissuta in anni difficili nelle case e nelle strade di un paese del sud: «Quella vita, quegli anni, ’30-’40, sono fuggiti dal passato, hanno compiuto una specie di sorpasso, mi si sono piantati davanti, mi hanno fermato e hanno preteso di essere rianimati». Queste le considerazioni di Giuseppe Minonne.
Minonne descrive la vita semplice di quegli anni, l’autenticità di persone come “Tore” o “Alberto”, che vivevano di pane e di vino, la morte considerata un momento sacro da consacrare, la vita nella campagna; il tutto scandito con ritmi lenti, precisi, netti, e tuttavia, delicati. È un romanzo col quale il lettore crea un legame profondo, quasi materno, di forte impatto emotivo.
Giuseppe Minonne con “Devi crescere” racconta il tempo, il passato dal quale si avverte nostalgia e pertanto, ricordarlo risulta necessario, come se non fosse mai stato, come se ancora potesse essere così, come se quelle carezze, gli abbracci, le mattine a scuola rappresentassero il desiderio di una quotidianità da rivivere. Vi è, allora, un senso nostalgico in ogni micro ricordo, senza però scadere nel tedio.
E così, si legge: «Gli raccontai tutto: quell’alba con mio padre e col sacco di grano; gli insulti della megera dal viso imbrattato; i miei segreti ritorni al mulino per rifarmi delle rinunce a cui avevo sempre ceduto; i doni di Carmen, le scarpe, i sette milioni di lire maleodoranti di soprusi…» (p. 131). E ancora: «Venne agosto di quell’agosto 1943. Alla fine del mese cadde tanta pioggia, ma tutto in brevissimo tempo, un diluvio improvviso. Il cielo si era oscurato e scagliava sul paese la sua violenza con guizzi luminosi, rapidi e frequenti e con tuoni dai cupi e fragorosi rimbombi: precipitavano sul paese come macigni lanciati da un Polifemo infuriato» (p. 138).
In questa narrazione riecheggia Cesare Pavese, o anche, Italo Calvino. Riverberano le stelle, le luci del mattino di parole, gesti, si odono il profumo del pane, storie di anni che hanno attraversato la vita di Giuseppe Minonne e che ancora gli appartengono, alle quali lo stesso si aggrappa come alle braccia della mamma, ai rami di un ulivo, al ricordo di un’essenza ancora viva e presente nel cuore e nella mente.
Leggendo “Devi crescere” di Giuseppe Minonne si ritorna bambini, si raggiunge l’origine, l’inizio, si sa perfettamente dove si è, per riuscire poi ad approdare su un porto sicuro.
Alessandra Peluso