di Claudio Tadicini
CASARANO (Lecce) – Un clan agguerrito e sanguinario, che presto sarebbe tornato ad uccidere. Un gruppo mafioso specializzato nel traffico di ingenti quantitativi di droga e di spaccate ai bancomat, che non ha esitato ad usare i kalashnikov per eliminare i vecchi “amici” coi quali, fino a poco tempo fa, si spartiva il controllo del territorio ed i ricchi proventi dello spaccio. E che, se i carabinieri non fossero intervenuti arrestando la vittima designata, a giorni sarebbe tornato ad impugnare le armi per eliminare un membro del gruppo ormai ritenuto “inaffidabile”. Di lui, infatti, doveva sparire ogni traccia.
Una violenta lotta intestina in quello che un tempo era il clan Montedoro – Potenza, culminata con lo spietato omicidio del boss Augustino Potenza ed il tentato omicidio del suo “fedelissimo” Luigi Spennato, che dopo l’uccisione del suo capo si era rifiutato di confluire nel gruppo di chi, a colpi d’arma da fuoco e spietate esecuzioni, era intenzionato a non dividere più nulla con nessuno. Una “riorganizzazione societaria” da portare a termine con l’uso della forza, che sarebbe stata impartita direttamente da Tommaso Montedoro, 41enne di Casarano, rimasto al vertice del sodalizio nonostante la detenzione domiciliare che stava scontando a Vezzano Ligure, in provincia di La Spezia.
Una “Gomorra” in salsa salentina che – come hanno svelato le intercettazioni telefoniche ed ambientali – probabilmente avrebbe continuato a spargere sangue e morte, se all’alba i carabinieri del Comando provinciale di Lecce non avessero disarticolato l’organizzazione criminale, sottoponendo a fermo d’indiziato di delitto quattordici persone, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, tentato omicidio aggravato, associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, ricettazione, furto aggravato e detenzione di armi.
Oltre al boss Montedoro, il fermo è scattato per i suoi storici sodali Damiano Cosimo Autunno e Giuseppe Corrado, 52enne di Parabita e 45enne di Ruffano, che insieme all’emergente Luca Del Genio, 26enne di Casarano, avrebbero ricoperto ruoli direttivi all’interno del gruppo criminale. Gli altri destinatari del decreto sono l’albanese Sabin Braho, 34enne residente a Brindisi, Andrea Cecere, 37enne di Nardò, Salvatore Carmelo Crusafio, 42enne di Matino, Antonio Andrea Del Genio (cugino di Luca), 31enne di Casarano, Eros Fasano, 53enne di Alliste, Domiria Lucia Marsano, 40enne di Lecce, attualmente sottoposta alla misura alternativa dell’affidamento in prova, Marco Petracca, 41enne di Casarano ed unico incensurato del gruppo, Maurizio Provenzano, 46enne di Lecce, Lucio Sarcinella, 21enne di Casarano, nonché Ivan Caraccio, 30enne di Casarano, del quale il boss aveva ordinato l’omicidio. In totale risultano indagate 17 persone.
Le complesse indagini dei carabinieri del Reparto operativo e del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Lecce, diretti rispettivamente dal tenente colonnello Saverio Lombardi e dal maggiore Paolo Nichilo, sono state coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce ed hanno documentato – attraverso una copiosa attività di intercettazioni telefoniche ed ambientali, ma non solo – il processo di riorganizzazione e le recenti fibrillazioni all’interno del clan capeggiato dal Montedoro. Questi, attivo a Casarano e nei comuni limitrofi, aveva deciso che la “diarchia” col Potenza (questo il nome dell’operazione dei carabinieri) doveva terminare. Perché a comandare nella zona, pur trovandosi in Liguria, doveva restare da solo.
IL TENTATO OMICIDIO DI LUIGI SPENNATO, UNICO FEDELE AL BOSS DEFUNTO
All’indomani dell’omicidio di Augustino Potenza, trucidato a colpi di kalashnikov il 26 ottobre scorso, ha inizio la migrazione dei suoi sodali nel clan del Montedoro. L’unico a restare fedele al boss defunto è stato Luigi Spennato, 42enne di Casarano, che il 28 novembre venne sorpreso nei pressi dalla sua abitazione da un commando armato e fu ferito gravemente dalle raffiche di proiettili esplose da due distinti fucili d’assalto, un kalashnikov ed una mitraglietta Sten di fabbricazione inglese. Sin da subito, le indagini dei carabinieri si concentrarono sui cugini Del Genio, entrambi notati sulla scena del crimine da alcuni testimoni. Quella stessa sera, i due furono sottoposti alla prova dello “stub” (che consente di rilevare tracce di polvere da sparo sulle mani), risultando entrambi positivi: addosso e nella loro auto furono trovate particelle provenienti dall’esplosione delle cartucce di quegli specifici fucili mitragliatori. L’omicidio di Spennato, come hanno svelato le intercettazioni, fu impartito da Tommaso Montedoro, al quale il 42enne non si era voluto
unire. Del tentato omicidio del casaranese “ribelle” parla in una conversazione Luca Del Genio, quando – ritornando su alcuni dettagli della mancata
esecuzione dello Spennato – raccomanda ai suoi sodali di non “commettere gli stessi errori del passato” anche nell’uccisione di Caraccio, la cui soppressione era stata decisa dal boss a causa delle sue “esuberanze personali” e della conoscenza completa delle dinamiche all’interno del gruppo, che lo stesso aveva maturato nel tempo della sua permanenza nel sodalizio criminale.
LE INTERCETTAZIONI E L’INTENZIONE DI UCCIDERE CARACCIO
Determinanti si sono rivelate le copiose intercettazioni, telefoniche ed ambientali, captate dai militari durante le indagini avviate in seguito al tentato omicidio dello Spennato (avvenuto il 28 novembre 2016 alla periferia del paese, ad un mese di distanza dalla brutale esecuzione del boss Potenza nel parcheggio dell’Ipermac di Casarano), che hanno consentito in breve tempo di ricostruire l’intero organigramma del sodalizio criminale capeggiato dal Montedoro e gli affari illeciti in cui era coinvolto il clan. Conversazioni che i componenti dell’organizzazione ritenevano “sicure” (le schede telefoniche, infatti, venivano intestate a persone ignare o fittizie ed acquistate appositamente a mille chilometri di distanza dal Salento), in cui gli interlocutori facevano riferimento esplicito a traffici ed episodi criminosi da loro commessi.
Ed anche a fatti di sangue ancora da compiere: in una conversazione telefonica, infatti, è stata intercettata l’intenzione di eliminare il 30enne Ivan Caraccio, uno spacciatore vicino al clan ma ritenuto non più “affidabile”. Un proposito omicida che i carabinieri hanno bloccato irrompendo nell’abitazione del giovane il 17 maggio scorso, sperando di trovare “qualcosa” per la quale arrestarlo e condurlo in carcere. I trenta grammi di cocaina che il ragazzo cercò di gettare nel water gli valsero le manette e gli evitarono che diventasse un nuovo caso di “lupara bianca”. Le intercettazioni, infatti, hanno rivelato che era tutto pronto per farlo sparire: il killer che avrebbe dovuto ammazzarlo, aveva già individuato una zona isolata in cui i cellulari non sarebbero stati rintracciati per assenza di segnale, ed aveva anche provveduto ad acquistare i teli con cui avvolgere il cadavere del 30enne da occultare. L’omicidio si sarebbe dovuto compiere il week-end scorso. La colpa del Caraccio sarebbe stata di non aver rispettato la regola “fondamentale del silenzio”, ovvero di aver rivelato le dinamiche interne all’associazione mafiosa, non rispondendo quindi alle aspettative del capo, che non lo riteneva più all’altezza dei compiti che gli erano stati assegnati.
I TRAFFICI DI DROGA SULL’ASSE CASARANO – LECCE, LE SPACCATE AI BANCOMAT ED IL PROGETTO DI MONTEDORO DI SVALIGIARE UN CAVEAU
L’indagine ha consentito di documentare con dovizia di particolari come il gruppo mafioso di Casarano, oltre a controllare i traffici di droga nel basso Salento, smistasse ingenti quantitativi di stupefacente nel capoluogo salentino per mezzo di Maurizio Provenzano, inserito all’interno dell’associazione con il ruolo di “broker”. L’uomo aveva il compito di smistare la droga per conto del clan anche sulla piazza di Lecce, dove si avvaleva di una rete autonoma di spacciatori, tra cui emerge la figura dell’unica donna coinvolta nel blitz, Domiria Marsano. A dargli una mano nel traffico di stupefacenti vi sarebbero stati anche i due albanesi Sabin Braho ed Elios Fasku, quest’ultimo arrestato nell’aprile scorso, in flagranza di reato, con 2,6 chili di eroina.
Oltre allo spaccio di stupefacenti, il sodalizio criminale era dedito a compiere spaccate ai danni degli sportelli bancomat della provincia. Due, in particolare, gli episodi che sono contestati: il furto riuscito a Tuglie il 18 marzo scorso ai danni della Banca Popolare Pugliese e quello fallito il 27 marzo successivo a Matino ai danni della locale Bpp, che fu sventato dal provvidenziale intervento di una guardia giurata. I proventi delle due attività illecite, secondo gli investigatori, confluivano in un’unica cassa comune che era nelle mani di Marco Petracca, gestore di un outlet a Casarano, ritenuto il cassiere del gruppo criminale ed unico referente del boss in “esilio forzato”.
Gli incassi derivanti dal traffico di droga e dalle spaccate agli sportelli automatici, sebbene a volte fruttassero guadagni superiori al mezzo milione di euro settimanale, non avrebbero soddisfatto, tuttavia, l’esigenza di maggiori disponibilità economiche da parte del Montedoro, che in una conversazione telefonica ha confessato ai suoi sodali l’intenzione di svaligiare un caveau “durante la pausa pranzo”.