“Aratura” e “Scrittura” hanno etimologie vicine, entrambe di radice indoeuropea simile: arare da AR, scrivere da SCAR, parole e suoni che indicano l’azione del tagliare, incidere, solcare. Il legame è dato anche dalla facilità con cui la terra può essere solcata per la semina o per imprimervi una forma, un simbolo o una lettera. Ci sono testimonianze letterarie di scrittura sulla terra o sulla sabbia (traduzione di terra sciolta, non di sabbia marina) come ad esempio la bellissima spiegazione platonica dell’idea del cerchio nella nostra mente che vediamo con gli occhi tracciato nella terra, mentre con l’anima, quale cerchio di fuoco del mondo delle idee.
D’altronde era la materia più a portata di mano nel mondo dell’uomo nomade e poi agricoltore stanziale. Per questo motivo venne naturale che il verso della scrittura fosse uguale a quello dei buoi che aravano e cioè da sinistra a destra e poi al rigo successivo da destra a sinistra, invertendo la direzione delle lettere, bustrofedico (dal greco bous: bue e strefein: volgere, girare, da cui strofa: che evidentemente conserva l’idea del movimento, palese nel suo sinonimo verso).
Dalla terra fu facile passare alla terracotta ancora morbida per scrivere qualcosa da trasportare altrove.
Scrittura bustrofedica era quella del lineare b dei Micenei che combatterono a Troia, dei Cretesi del V sec. a.c., dei Messapi che già nel VI sec. avevano inventato la scrittura (mentre i Peucezi della terra di Bari ci arrivarono duecento anni dopo); tracce della scrittura bustrofedica sono state ritrovate in India, in Perù, in Armenia, infine il rongorongo, scrittura dei Mohai dell’isola di Pasqua, è bustrofedica. Nell’antichità l’aratura avveniva con l’aratro di legno a chiodo o a forca con punta di ferro a forma conica o di lancia(l’aratro di Romolo delle illustrazioni dei libri, per intenderci), che fendeva la terra con solco dai lati uguali, perciò era utile, a fine riga di bordo campo, girare su se stessi e tornare indietro col nuovo solco in direzione opposta. Le cose cambiarono con l’introduzione del vomere ad orecchio che, dopo aver solcato la terra la rivolta a destra e quindi la rinnova rendendola più fertile. Questa innovazione fu frutto della Rivoluzione Francese, che insieme ad altre scoperte modificò l’agricoltura moltiplicandone la redditività. Nei secoli successivi i nostri contadini salentini hanno così utilizzato l’aratino francese, completamente in ferro, attaccandovi per lo più i cavalli murgesi, razza autoctona da tiro e ultimamente ottima per turismo equestre. Il verso dell’aratro intanto è cambiato perché incompatibile con il bustrofedico, che, al solco di ritorno, avrebbe calpestato e rigirato la terra rivoltata a destra dal vomere dell’aratino. L’aratura moderna doveva invece girare sempre a destra e quindi da un solco centrale allargare sempre più la zona interessata con una serie di solchi concentrici. Nel frattempo -si fa per dire- ma in effetti, già da un millennio, la scrittura aveva adottato il salto a fine rigo, da destra a sinistra, per poi riprendere il verso da sinistra a destra. Il bustrofedico resiste ancora presso i tuareg ma è in via di estinzione. Anche l’aratura col cavallo è in via di estinzione: salviamola!
(tratto dalla conversazione tenuta a Castiglione d’Otranto presso l’Agriturismo “PIARMI” durante la dimostrazione di aratura col cavallo (Murgese) attaccato all’aratino francese, l’11 giugno 2017).