SANTA MARIA DI LEUCA (Lecce) – Il processo sui lavori di consolidamento della scogliera del “Ciolo” stecca la prima. Si fa appena in tempo a fare l’appello, che l’udienza subisce il primo stop: il processo non va avanti, causa difetto di notifiche agli otto imputati. Tanto è bastato a rendere inutile la prima udienza del processo destinato ad accertare la responsabilità sui presunti danni sulla roccia del “Ciolo”. E il rischio prescrizione, specie per un processo che farà i conti con perizie e consulenze di parte, è sempre dietro l’angolo. Di fronte alla mancata notifica, il processo viene rinviato alla prossima udienza. Quando? Tra una settimana? Un mese? Niente affatto.
L’udienza viene aggiornata a gennaio, così come emerso in aula – sperando ovviamente che in quella occasione ci siano le notifiche giuste, che gli atti del processo siano al loro posto, che nessun altro intoppo impedisca di dare inizio all’istruttoria. Si dovranno discutere le eccezioni preliminare e dichiarare l’avvio del’istruttoria. Sul banco degli imputati sono finiti in otto: Daniele Accoto, 46enne di San Cassiano, responsabile del settore pianificazione di Gagliano del Capo e Daniele Polimeno, 61enne di Spongano; Emanuela Torsello, 54 anni di Alessano e Ippazio Fersini, 63enne di Gagliano del Capo, a guida di un’associazione incaricata di redigere il piano dei servizi tecnici di progettazione e direzione dei lavori; Vincenzo Moretti, 56 anni di Bari e Caterina Di Bitonto, 43enne di Barletta, funzionario e dirigente dell’ufficio programmazione della politiche energetiche Via/Vas della Regione. Due di loro, a breve, saranno giudicati in abbreviato: Primo Stasi, 60 anni di Lecce, legale rappresentante della ditta Etacons e Fulvio Epifani, 67 anni originario di Ostuni, legale rappresentante del Siscom, società appaltatrice dei lavori. Le accuse ipotizzate agli imputati sono di di distruzione e deturpamento di bellezze naturali, abusivismo edilizio e falso ideologico. Nel frattempo la locale “Associazione Legambiente Circolo Capo di Leuca” si è costituita parte civile a tutela del paesaggio con l’avvocato difensore Anna Grazia Maraschio.
L’indagine scattò a seguito di un esposto di Legambiente, corredato da fotografie raffiguranti i grossi fori praticati nella roccia dagli operai, per l’applicazione delle reti previste nel progetto. L’intervento contemplava l’utilizzo di oltre duemila tondini di acciaio, circa 5 km di perforazioni e la demolizione di oltre 600 metri di scogliera. Per questa faraonica opera era stata stanziata la somma di circa 1 milione e mezzo di euro. E la Procura dispose il sequestro probatorio del costine poi confermato dai giudici del Tribunale del Riesame. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Riccardo Giannuzzi, Francesco Nutricati, Andrea Sambati, Stefano De Francesco e Francesco Maggiore.
F.Oli.