LECCE – Nei giorni scorsi abbiamo sentito i giuristi sulla questione dell’anatra zoppa: la Commissione elettorale sembra aver adottato la linea Melica. Il professore Luigi Melica è subito intervenuto con un commento a caldo.
“Dunque il dado è tratto: Carlo Salvemini ha ottenuto il premio di maggioranza; ora si moltiplicheranno i ricorsi, ma, intanto Carlo governerà. La Commissione elettorale ha evidentemente considerato la portata innovativa di un principio contenuto nell’ultima pronuncia del Consiglio di Stato resa in tema di assegnazione del premio di maggioranza, il caso di San Benedetto del Tronto del maggio del 2017. Come avevo sottolineato in altra sede, prima della proclamazione, la ricaduta di tale pronuncia sul caso Lecce a prima vista è nulla: là, al primo turno, la coalizione risultata perdente al ballottaggio non aveva superato il 50%, a Lecce, invece, il centrodestra l’ha raggiunta. Tuttavia il punto non è questo, il possibile interesse per la vicenda leccese scaturisce da un vero e proprio assist della difesa ai giudici di secondo grado attraverso il richiamo al famoso precedente della Corte costituzionale sulla legge elettorale n.270 del 21 dicembre 2005 nota come il “Porcellum”.
A parere della difesa, infatti, non si sarebbe dovuto assegnare il premio di maggioranza al candidato sindaco risultato vincitore al ballottaggio in quanto si violava il principio di rappresentatività di cui erano titolari alcuni candidati consiglieri della coalizione che aveva perso le elezioni. Discostandosi da questa tesi, i giudici amministrativi hanno invece asserito che la Corte costituzionale aveva affermato, in quella sentenza, che le elezioni amministrative hanno una natura giuridica diversa da quelle politiche, poiché nelle prime non viene in rilievo l’indirizzo politico nazionale collegato al principio di sovranità popolare di cui all’art. 1 della Cost.; pertanto, nelle elezioni amministrative, nel bilanciamento tra il principio di governabilità e quello di rappresentatività può prevalere il primo.
Questo richiamo ha consentito ai giudici amministrativi di formulare il principio cui accennavo all’inizio, il quale, in parte è collegato ai fatti di causa, in parte vi è sganciato. “In definitiva”, hanno anzitutto affermato, “proprio alla stregua dei rilievi svolti dalla Corte costituzionale” può ritenersi del tutto compatibile con il quadro costituzionale, in considerazione della possibilità di voto “disgiunto” al primo turno fra candidato Sindaco e liste collegate e della necessità di assicurare la governabilità dell’Ente locale al Sindaco democraticamente eletto, “la previsione che assegna il premio di maggioranza sulla base dei voti validi conseguiti da quest’ultimo, e non solo dei voti riportati al primo turno dalle liste a questo collegate”. Sin qui, nulla di nuovo: il consiglio di stato ha censurato le tesi dei ricorrenti ribadendo la validità delle modalità di calcolo dei voti al primo turno, ma il passaggio saliente è quello successivo. I giudici amministrativi affermano infatti che “appaiono del tutto condivisibili i rilievi dell’Amministrazione appellata, incentrati sulla peculiare legittimazione democratica che riviene al Sindaco dalla sua investitura diretta da parte del corpo elettorale, tale da escludere ogni distorsione del principio di rappresentanza per effetto della “valorizzazione”, ai fini che qui rilevano, dei voti validi dallo stesso riportati nel turno di ballottaggio”.
Ripeto: della “valorizzazione dei voti validi dallo stesso riportati nel turno di ballottaggio” Cosa vuol dire valorizzazione? Utilizzando la funzione thesaurus del sistema office ho individuato i diversi sinonimi e sono comparse le seguenti parole: “utilizzazione”, “promozione”, “esaltazione”, “riconoscimento” e “apprezzamento”. Insomma, il Consiglio di stato sembra ritenere che per il computo dei voti validi, si debbano considerare non solo i voti riportati dal sindaco al primo turno, ma anche quelli riportati nel turno di ballottaggio. Tale ultimo argomento, rammento, non serviva per risolvere il caso di San Benedetto: dunque si va oltre. In nome del principio di governabilità, chi vince al ballottaggio deve essere comunque favorito e questo vale in generale. I giudici amministrativi hanno dunque utilizzato la nota funzione di orientamento delle amministrazioni pubbliche tipica del giudice amministrativo per indicare un principio innovativo, sganciato dai fatti di causa e poiché lo hanno fatto motivatamente e non incidentalmente hanno probabilmente indicato la strada seguita dalla Commissione elettorale leccese.
I segmenti procedimentali tra primo e secondo turno si possono evidentemente cumulare: d’altra parte, la forma di governo comunale ricalca la forma presidenziale dove il sindaco, eletto dal popolo, nomina e revoca gli assessori in base alla loro fedeltà all’indirizzo politico locale (ricordate il caso Perrone versus Poli Bortone?) e, se sfiduciato dai consiglieri, si dimette con tutto il consiglio all’insegna del principiosimul stabunt simul cadent. A questo punto i ricorsi di chi si ritiene lesa da questa decisione non mancheranno; non so chi avrà ragione; sta di fatto che a stabilirlo sarà, come mi auguravo un altro giudice, e, forse, come avevo ipotizzato la Corte costituzionale alla quale spetterà di fare chiarezza sul punto, decretando se la legge che ammette l’anatra zoppa è o meno conforme a costituzione”.