RUFFANO (Lecce) – Ha risposto puntualmente a tutte le domande, respinto ogni accusa e chiarito alcuni fatti. Si è svolto nel pomeriggio l’interrogatorio di M.N., il dipendente 40enne di Ruffano, in servizio presso l’Ufficio esecuzioni della Procura, accusato di aver fornito informazioni coperte dal segreto istruttorio ad alcuni presunti esponenti del clan Montedoro. Il lungo interrogatorio si è svolto nel pomeriggio alla presenza dei due sostituti procuratori Guglielmo Cataldi (per l’Antimafia) e Massimiliano Carducci (per la Procura ordinaria), titolari del fascicolo d’indagine e dei carabinieri del Comando provinciale.
M.N., difeso dall’avvocato Luca Laterza, ha negato in modo netto e categorico di avere accesso a banche dati o a programmi che immagazzinano file su indagini perché non avrebbe le password sul suo computer. Ha così fornito la propria versione sugli episodi contenuti nelle carte dell’inchiesta “Diarchia” e che lo inquadrano come un informatore del sodalizio capeggiato da Tommaso Montedoro smantellato alla fine di maggio con un blitz dei carabinieri. Il dipendente si è soffermato sull’incontro dell’8 marzo avvenuto in un distributore di benzina a Corigliano. M.N. ha precisato di aver raggiunto l’area di servizio per recuperare la propria auto così come dimostrato depositando apposita documentazione. Per la Procura, invece, il dipendente avrebbe telefonato a Giuseppe Corrado (uno degli indagati) per facilitare un incontro subito dopo un’udienza nel processo d’appello “Tam Tam”.
M.N. ha fornito la propria ricostruzione anche su un’intercettazione raccolta dagli investigatori a metà maggio quando Montedoro, insospettito, avrebbe chiesto informazioni su eventuali indagini sul suo conto. Marco Petracca, (l’unico incensurato dei soggetti arrestati), si sarebbe attivato prontamente garantendo di poter contattare Frankie (il nomignolo con cui è conosciuto M.N.). Dopo circa venti minuti Petracca avrebbe rassicurato il proprio interlocutore riferendo di aver appreso dal dipendente che “tutto era tranquillo”.
Una ricostruzione confutata dal dipendente che ha negato di conoscere gli indagati e di non aver mai fornito informazioni sullo stato delle indagini. Chiaro il ragionamento difensivo: se effettivamente M.N. avesse avuto accesso a file secretati avrebbe dovuto confermare l’esistenza di un’inchiesta ai suoi interlocutori. Da qui la falsità del commento raccolto dagli investigatori che “tutto era apposto”. L’interrogatorio si è svolto in un clima sereno e cordiale e ha soddisfatto le varie parti. M.N. è accusato di rivelazione di segreti d’ufficio e favoreggiamento aggravato dall’aver agevolato l’associazione mafiosa. E’ impiegato da tempo presso l’Ufficio Esecuzioni Penali ed è ben voluto dai suoi stessi colleghi.
F.Oli.