OTRANTO (Lecce) – Già nel 1453 il Sultano Turco Maometto II era riuscito a conquistare Costantinopoli, ponendo così fine all’Impero Romano d’Oriente, o Bizantino che dir si voglia, dopo un’esistenza lunga mille anni circa. Meno di trenta anni dopo, il sovrano turco mette in atto un nuovo piano di conquista, sfruttando anche i contrasti fra i vari principi che governavano l’Italia. Ma procediamo con ordine.
Conquistata Costantinopoli, Maometto II aveva concentrato le sue mire verso l’isola di Rodi, unica a resistergli grazie alle imprese dei Cavalieri Gerosolimitani, militarmente appoggiati da Ferrante, il sovrano aragonese di Napoli. Nel 1479 la Repubblica di Venezia conclude, dopo anni di conflitto, una pace con l’Impero Ottomano che, se ufficialmente la rende neutrale, in realtà tende ad appoggiare le pretese turche in funzione anti-aragonese. Nello stesso tempo le armate pontificie ed aragonesi sono impegnate contro Firenze. Approfittando di tale situazione, nel mese di maggio del 1480, Maometto II invia una flotta contro l’isola di Rodi ma anche in questo caso i cavalieri resistono strenuamente, appoggiati da due navi inviate in soccorso da Ferrante. In realtà, però, si tratta di un’azione diversiva, infatti poco dopo si muove, in maniera del tutto inaspettata, una seconda flotta dal porto di Valona e diretta verso Brindisi, in virtù di presunti diritti che il sultano vanta nei confronti del principato di Taranto.
La cittadina costituisce, nelle mire ottomane, una testa di sbarco da dove muovere successivamente verso Napoli e Roma. Al comando di questa flotta viene posto un convertito greco o albanese di nome Gedik Ahmet Pascià, appena nominato bey, ossia governatore, di Valona. Secondo le fonti storiche, la flotta risulta formata da un numero di navi compreso fra 70 e 200, capaci di trasportare una forza di uomini compresa fra 18 mila e 100 mila. In realtà la prima cifra risulta di gran lunga molto più plausibile. Tuttavia, occorre precisare che, secondo alcune teorie storiche più recenti, sembra che la responsabilità della spedizione non debba essere attribuita al Sultano Maometto II, bensì solo ad Achmet Pascià, bramoso di costituire un suo personale principato indipendente il Terra d’Otranto, con l’appoggio della Repubblica di Venezia. Comunque stiano le cose, ritorniamo alla descrizione dei fatti.
La flotta lascia il porto di Valona la sera del 27 luglio 1480, tuttavia a causa di un forte vento di tramontana che ne ostacola la rotta, la mattina successiva si ritrova davanti ad Otranto, cittadina ricca ma le cui mura sono incapaci a resistere alle micidiali artiglierie ottomane ed, oltretutto, sprovvista essa stessa di pezzi d’artiglieria. Gli abitanti della città sono all’incirca 6 mila, dei quali la forza combattente ammonta a sole 400 unità agli ordini dei capitani Francesco Zurlo e Giovan Antonio Delli Falconi.
Non potendo proseguire verso Brindisi a causa delle forti correnti, Ahmet Pascià decide di assediare Otranto. Nella stessa giornata una forza di 16 mila ottomani sbarca nei pressi dei laghi Alimini, nell’area oggi conosciuta col nome di Baia dei Turchi, vanamente ostacolati da un presidio di armigeri otrantini che, nell’urto, hanno la peggio e sono costretti a ripiegare entro le mura della città. Giunto sotto le mura, Ahmet Pascià chiese la resa della città, tuttavia Francesco Zurlo, a nome della cittadinanza rifiuta sdegnosamente. Dato l’ordine di approntare i pezzi, il bey di Valona comincia l’estenuante assedio a colpi di salve d’artiglieria. Il 29 luglio il Borgo della città cade in mano alle forze ottomane e gli abitanti si rifugiano nelle mura della cittadella.
L’assedio si protrae ininterrottamente per due intere settimane. Durante questo tempo, Ahmet divide le forze in due unità, la prima destinata a continuare l’assedio, la seconda, suddivisa in piccole aliquote, predisposte per compiere incursioni nelle zone interne, spingendosi anche oltre Lecce, sino a Taranto e nei pressi di Brindisi, rendendosi artefici di saccheggi e distruzioni in tutta la penisola salentina, prelevando diverse persone dalle campagne, per ridurle in schiavitù..
Intanto i 400 otrantini resistono ai colpi delle artiglierie ottomane, spronati dal primo cittadino, Ladislao De Marco, in attesa dei rinforzi provenienti da Napoli che, però, non arriveranno. L’11 agosto un colpo d’artiglieria ben assestato apre una breccia nelle mura di cinta nei pressi della “Porticella”, l’accesso più piccolo alla città, consentendo l’irruzione all’interno degli ottomani, che si lasciano andare ad uno sfrenato saccheggio. I cittadini maschi di età superiore ai 15 anni vengono passati a fil di scimitarra, mentre donne e bambini vengono ridotti in schiavitù.
Emblematica è la strage commessa all’interno della cattedrale. In futuro alcuni autori avrebbero parlato di 12 mila vittime ma, in realtà, essi sono molti di meno, dal momento che Otranto, nell’epoca in questione, ha una popolazione di 6 mila abitanti. Gli ultimi 800 superstiti maschi, rifiutatisi di abiurare la fede cattolica, vengono catturati e, due giorni dopo, immolati sul colle della Minerva.
Otranto resterà ancora per un anno in mano agli ottomani, prima della sua liberazione, tuttavia di ciò si discuterà in un prossimo articolo.
Cosimo Enrico Marseglia