F.Oli.
GALLIPOLI (Lecce) – Batte sempre sugli stessi punti: avrebbe ucciso per gelosia e senza premeditazione o secondo un piano preordinato. Si è svolto questa mattina l’interrogatorio di Marco Barba. Il 43enne gallipolino, conosciuto come “U Tannatu”, è accusato dell’omicidio dell’ambulante marocchino Khalid Lagraidi, ucciso e poi parzialmente sciolto nell’acido il 23 giugno del 2016 nelle campagne di Gallipoli. L’ex collaboratore di giustizia ha chiesto e ottenuto di essere interrogato dopo la chiusura delle indagini preliminari. L’interrogatorio si è svolto nel carcere di Bari dove Barba è detenuto da mesi. Era presente il sostituto procuratore della Dda Alessio Coccioli.
“U Tannatu”, assistito dall’avvocato Fabrizio Mauro, ha precisato ancora una volta il movente. Non avrebbe ucciso per un tocchetto di fumo così come ipotizzato dalla Procura ma perché non avrebbe mai accettato che la figlia avesse una relazione con quell’ambulante. Barba si è soffermato sulla presenza sul luogo dell’omicidio di bottigliette di acido che, a suo dire, aveva lasciato da tempo perchè temeva per la sua incolumità. E poi c’è il secondo aspetto della vicenda: l’aggravante della premeditazione. Un’ipotesi contestata da Barba con fermezza in circa un’ora di interrogatorio. Il 43enne ha spiegato di aver agito d’impeto non appena ha visto la figlia in atteggiamenti lascivi con l’ambulante. Se avesse programmato un omicidio avrebbe potuto tranquillamente agire in modo diverso utilizzando armi che deteneva come ammesso dallo stesso Barba.
A margine dell’interrogatorio, la difesa ha chiesto un’ulteriore perizia psichiatrica sul 43enne per dimostrare la sua incapacità di intendere e di volere nel momento in cui ha consumato il delitto a causa di uno stato d’ira. Contestualmente, ha avanzato richiesta di domiciliari per le condizioni di salute precarie. Barba non è l’unico indagato. L’accusa di occultamento di cadavere viene contestata anche alla figlia Rosalba (difesa dall’avvocato Amilcare Tana). Il giallo sulla scomparsa è stato risolto proprio con le dichiarazioni rilasciate in caserma dalla 23enne alla fine di gennaio che hanno consentito di ritrovare il corpo dell’ambulante alla periferia della città bella. Barba avrebbe trascinato l’ambulante marocchino di 41 anni in aperta campagna nei pressi di Madonna del Carmine dopo aver prelevato il cittadino nord africano direttamente da Lecce.
L’ex collaboratore di giustizia avrebbe dapprima cercato di strangolare Lagraidi. Poi gli avrebbe sferrato numerosi colpi con un corpo contundente alla testa provocandogli diverse fratture al cranio. Infine avrebbe cercato di nascondere il cadavere in un bidone metallico e di sciogliere il corpo con numerose bottiglie di acido muriatico. Una manovra compiuta grazie alla collaborazione della figlia. I due Barba avrebbe riposto il corpo nel fusto ricoprendolo con pietrisco e materiale edilizio sotto gli alberi. Del cittadino nord africano non sarebbe dovuta rimanere alcuna traccia sepolto in un bidone ricoperto con del pietrisco e calce per evitare la fuoriuscita. Il tutto, secondo la Procura, per un tocchetto di fumo non pagato.