LECCE – Dopo “Terroni” e altre sue pubblicazioni di notevole successo nazionale, arriva “Carnefici”, edito da Piemme, con una copertina di color rosso vivo come il sangue versato da milioni di uomini ed un titolo “CARNE – FICI”, scritto in maiuscolo e – non a caso – distinto nel significato latino di “fatta, divorata carne (da macello)”; come da sottolineare accade in ogni guerra o conflitto.
In un palazzo aristocratico, maestoso e accogliente quale è il Palazzo Bernardini di Lecce, mi trovo a conversare con Pino Aprile, scrittore e giornalista di chiara fama. Affascinata dal modo in cui racconta le terribili parentesi di violenza alle quali sono stati sottoposti i meridionali dopo l’Unità d’Italia, gli chiedo, forse in modo provocatorio cosa o chi abbia motivato il bisogno di scrivere, di dedicarsi a tali drammi, anzi riscrivere, come lui stesso dice, la “Storia meridionale”.
Di origini tarantine, ed ecco in parte svelato l’arcano mistero, in una parte del Salento martoriata da qualche anno a questa parte, Pino Aprile si sentiva emarginato a casa sua, ossia avvertiva profondamente di essere diverso dal resto degli italiani e cercava sin da ragazzo di riscattare se stesso e gli altri da una dominazione settentrionale, che ha avuto avvio con i Savoia. I suoi occhi scuri si sgranano, mentre racconta avvenimenti tragici documentati come l’uccisione di un bambino, si anima il corpo in modo inverosimile, quasi come stesse vivendo determinati episodi.
Si vedono e si toccano con mano l’amore e la passione per la sua Terra: il Sud. E non potendo lasciare indifferente un interlocutore che ama altrettanto il Salento, ascolta, discernendo ovviamente il pathos, le emozioni dalla storia.
Ci si rende immediatamente conto che l’essere umano è animato dagli stessi princìpi in passato come nel presente e che la storia abbia forse un ciclo, come Vico insegna, o forse che sia tutto una burla in quanto scritto e voluto da economie e poteri molto più forti di quanto si possa immaginare e indifferenti alla giustizia sociale. Tuttavia, Pino Aprile ci prova da molti anni a rendere giustizia al popolo meridionale assoggettato, evitando di cadere in facili definizioni “populiste”.
“Io so. So tutti i nomi e so tutti i fatti di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove”. È il cuore di un celeberrimo atto d’accusa di Pier Paolo Pasolini pubblicato sul “Corriere della Sera”. Anche Pino Aprile sa. Sa tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero “meridionali”. Lo ha appreso attraverso lunghe e imbrigliate ricerche, colloqui, incontri e lo ha raccontato in “Terroni”, che ha aperto una breccia irreparabile sulla facciata del trionfalismo nazionalistico. E solo dopo aver trovato le prove, pubblica “Carnefici”: testimonianza di un vero e proprio genocidio. Questo emerge, infatti, dall’incrocio dei risultati dei censimenti disposti dai Savoia (nel 1861 e nel 1871) e dei dati delle anagrafi borboniche: un genocidio.
Centinaia di migliaia di persone scomparse è la cifra della strage di italiani del Sud compiuta per unificare l’Italia. Si scopre, così, di come venivano rasi al suolo paesi interi, saccheggiate le case, bruciati vivi i superstiti. Si apprende come avvenivano i rastrellamenti degli abitanti di interi villaggi, senza risparmiarsi torture o marce forzate. Ci si imbatte in fucilazioni a tappeto di centinaia di persone. L’Italia “liberata” o meglio “unita” è stata nella realtà dei fatti un vero e proprio Gulag, di cui ora si può ricostruire la mappa e l’organizzazione: deportazioni, campi di concentramento, epidemie. Aggiungendo che, purtroppo, ancora oggi un certo tipo di politica in sintonia con i mass media continuano a diffondere un’idea di bisogno, di mancanza, di inferiorità e finché tutto questo continuerà con il beneplacito dei politici meridionali continueremo ad essere assoggettati e considerati vittime bisognose. Per riprendere le parole di Veneziani, il Sud ha bisogno di Diogene, ovvero di quelle persone che vivono libere e illuminate dalla luce solare che Madre Natura ha donato con l’unica grande ricchezza: il pensiero.
Alla fine dell’incontro chiedo a Pino Aprile se si senta appagato e soddisfatto di tutto ciò che finalmente sia riuscito a portare alla luce, dimostrando una verità celata ai più. Mi risponde seccamente con un “NO”, senza retorica. “Certamente, sottolinea, ho intrapreso una sorta di autoanalisi, divenuta collettiva, ma non ancora conclusa, dando un’identità alla mia persona e al mio Sud, ma sono ancora tremendamente incazzato”.
Ci salutiamo, augurandoci che la “Storia meridionale” diventi una materia di studio accanto alla “Storia” e siano studiate in molteplici punti di vista e prospettive, non solo ed unicamente di sinistra, destra o quant’altro. Accanto alla Storia, l’apporto della Storiografia. Certo, assistendo oggi ai cambiamenti all’istruzione, non si può non essere amareggiati o peggio irati con aculei ben appuntiti e in vista. Mai come oggi, per l’appunto, si avverte la necessità di un senso d’appartenenza, di punti di riferimento, di ruoli, e perciò, conoscere il passato appare necessario quanto vivere il presente e preservarsi un futuro poco roseo e molto spinoso.
Con il Sud nel cuore e con un senso di appartenenza alla Patria da consolidare, congedo lo scrittore Pino Aprile, ringraziandolo a nome soprattutto, del popolo meridionale.
Alessandra Peluso