LECCE – Ci sono troppi argomenti che meriterebbero una discussione pubblica e trasparente, ma che sono stati ammantanti dal silenzio dei vertici, secondo i dissidenti della Camera di Commercio di Lecce. I detrattori della linea Prete aumentano. Di recente è intervenuta persino l’associazione Laica per chiedere chiarezza sulle spese legali e sulle sentenze non applicate. E’ calato il silenzio sul clamoroso sfogo del presidente della Camera di Commercio, postato via Facebook, in cui si denunciavano pressioni e minacce di fantomatici colletti bianchi. Tutto tace sulla questione della Corte dei Conti, che è già passata all’azione per mettere al sicuro gli eventuali risarcimenti per danno erariale derivanti dal mancato scorrimento delle graduatorie di un vecchio concorso per l’individuazione di due dirigenti.
Tra l’altro, secondo la finanza, i vertici camerali avrebbero dovuto evitare quelle assunzioni e sembra che i soggetti interni scelti non potessero ricoprire quei ruoli. Tutte cose che gli accusati potranno chiarire davanti ai magistrati contabili, ma che non sembrano voler discutere all’interno dell’istituzione camerale. Secondo alcune indiscrezioni, proprio sulla vicenda della Corte dei Conti si sarebbe tenuta una lunga riunione dei vertici di Camera di Commercio: in questi giorni saranno consegnate le memorie difensive. Cala il silenzio anche sulle minacce a Roberta Mazzotta, di cui nessuno sembra interessarsi. Chissà se non lo farà la magistratura. Alcuni consiglieri avrebbero voluto affrontare questi spinosi temi, ma dovranno accontentarsi del bilancio e della discussione sulla sentenza del Consiglio di Stato. L’atmosfera sarà sicuramente rovente.
I TANTI FRONTI SU CUI COMBATTONO I DISSIDENTI
C’è chi teme la strategia delle dimissioni e il relativo commissariamento. I detrattori della gestione di Alfredo Prete, che dura da 12 anni, si aspettano anche questo: un commissario, che alla fine sarebbe sempre lui. Ma per ora sono solo congetture. Intanto, fioccano le richieste di accesso agli atti per avere un quadro chiaro sulle spese fatte in questi anni e sulle risorse messe in campo dalla Camera di Commercio, che poi sono finite anche al Cat Confcommercio Lecce srl. Ci siamo occupati nei giorni scorsi (e continueremo a occuparci) dei 143 mila euro spesi per due studi preliminari sui Distretti del Commercio di Lecce e Galatina (studi che dovrebbero essere rivisti, siccome sono ormai datati, perché il commercio cambia di anno in anno, come hanno spiegato alcuni dirigenti comunali del settore).
Le risorse assegnate ai rispettivi Comuni per questi studi, sono transitate prima dalla Camera di Commercio, poi ai Comuni, alla fine li hanno ricevuti i Cat, quindi delle srl. I Comuni hanno sottoscritto un accordo con i Cat sulla base del quale si impegnavano ad assegnare a questi ultimi le risorse che avrebbero ricevuto dall’ente camerale. Nella delibera del Comune di Galatina si dice chiaramente che si chiedono i soldi alla Camera di Commercio e solo in caso di accoglimento della richiesta sarebbero stati affidati i circa 43 milioni ai Cat Confcommercio e Confesercenti: a quanto pare, come ci ha spiegato il dirigente leccese, senza il bando che avrebbe permesso a tutti i Cat pugliesi di partecipare. Bando che però a Lecce viene fatto per il secondo studio del commercio: quello relativo al progetto definitivo, per il quale vengono erogati circa 40 mila euro.
Ma domani non si parlerà di tutto questo. Una piccola vittoria è quella della discussione della sentenza dei giudici amministrativi sulla composizione della giunta camerale. La storia dell’esclusione dalla giunta di Roberta Mazzotta risale al 2015: nella seduta del 10 luglio di quell’anno si è proceduto alle operazioni di voto per la Giunta in ragione di due preferenze per ciascun consigliere. “All’esito della votazione sono risultati votati tredici consiglieri e per gli ultimi due dei dieci posti hanno conseguito a pari merito cinque voti Derniolo (Artigianato), Mazzotta (Servizi alle Imprese) e Negro (Artigianato). L’appellante, che poi è stata reintegrata, non avrebbe dovuto partecipare al ballottaggio “in quanto di genere con meno rappresentanti nell’organo”. Al momento di procedere al ballottaggio, e prima della proclamazione degli eletti, sei consiglieri che avevano conseguito voti in numero idoneo alla nomina di componente di Giunta hanno dichiarato la propria indisponibilità ad accettare la carica; analogamente i consiglieri Schipa e Piccino.
A questo punto il Segretario generale, richiamando l’art. 12, comma 6, del d.m. n. 156 del 2011, ha rappresentato che, in ragione delle intervenute rinunce, non sussistevano le condizioni per l’individuazione dei dieci componenti di Giunta e anziché proclamare i cinque votati non rinunciatari, e quindi eletti, ha disposto di rinnovare l’intera votazione a scrutinio segreto, per di più senza concedere il termine di quindici giorni previsto dall’art. 12, comma 3, del d.m. n. 156 del 2011. All’esito della nuova votazione del 10 luglio 2015, Roberta Mazzotta è risultata undicesima in graduatoria, e dunque non eletta in Giunta. Ma “l’indisponibilità ad assumere la carica di componente di Giunta da parte di un certo numero di eletti non poteva impedire la proclamazione dei restanti componenti (cinque), salvo poi procedere ad elezioni suppletive”.
Inoltre, “la dichiarazione immotivata di non assunzione della carica da parte di sei consiglieri deve essere assimilata alla rinuncia alla candidatura, quindi non è ammissibile che all’esito di una seconda tornata elettorale tenutasi nella stessa seduta consiliare potessero conservare l’elettorato passivo ed essere eletti”. Del resto, la seconda tornata elettorale tenutasi senza soluzione di continuità non è regolare, in quanto ha escluso dalla possibilità di esprimere il proprio voto il consigliere Taurino che, dopo avare votato la prima volta, si è allontanato e nulla ha saputo della seconda votazione. Tra l’altro, la decisione di consentire una seconda votazione nella medesima seduta contrasta con la disposizione regolamentare che richiede una pausa di riflessione di quindici giorni fra indizione delle elezioni e voto. “Non è ravvisabile un principio generale che impone la integrale preposizione dei componenti del collegio” – spiegano i giudici amministrativi.